I postpupazzi

Mariarosa Mancuso
I nuovi “Muppet” sono come una serie dentro una serie. Con tutti gli elementi della postmodernità

    Cinema nel cinema, e ora serie dentro le serie. Non c’è motivo per rimanere al palo, quando tutti si danno un tocco di postmodernità mettendo colonnette e citazioni ovunque. Lo impone il postmoderno spiegato in un paio di semplici lezioni. I postmoderni veri, costretti secoli fa ad arrangiarsi da soli perché la modernità era stata appena inventata, puntavano sulle divagazioni come Laurence Sterne. Oppure – come Henry Fielding – si rivolgevano direttamente al lettore, per rimproverarlo di non essere stato abbastanza attento ai dettagli, qualche pagina prima. 

     

    Serie incastrata dentro una serie. Riproposizione di elementi conosciuti in contesti diversi. Sguardo in macchina, a interpellare direttamente lo spettatore. Uno, due e tre: la nuova serie dei “Muppet” (su Fox, dal 12 dicembre scorso) ha tutti gli elementi al suo posto. Pensatela come il postmoderno fatto televisione. I pupazzi sono gli stessi inventati negli anni 60 da Jim Henson. In origine servivano per insegnare un po’ di inglese e un po’ di educazione civica ai bambini svantaggiati degli Stati Uniti, ora sono celebrità che possono permettersi ogni cosa. Anche l’annuncio di uno storico sfidanzamento, al solo scopo di fare pubblicità al nuovo programma.

     

    L’estate scorsa scoprimmo che Miss Piggy e Kermit non erano più una coppia (peraltro molto moderna, essendo lei una maialina e lui una rana). Qualche battuta – era ancora fresco il ricordo del “conscious uncoupling” con cui Gwyneth Paltrow aveva annunciato la separazione da Chris Martin – e la cosa finì lì. Ora sappiamo quando Miss Piggy e Kermit si sono lasciati, e perché. Nella seconda puntata della nuova serie litigano davanti a un cinema, come capita a tante coppie in disaccordo sul film da vedere. Loro però litigano per una questione di selfie, che ormai hanno sostituito gli autografi.

     

    La nuova serie dei Muppet racconta i retroscena dello show televisivo “Up Late with Miss Piggy”, copia & incolla del Late Show condotto fino al maggio scorso da David Letterman. Miss Piggy è la star, nelle sue rotondità molto somigliante a Oprah Winfrey (tranne che per il salotto letterario dove una volta fu accolto con tutti gli onori Cormac McCarthy: alla maialina danno un romanzo da leggere, ma prima che riesca a finirlo lo scrittore da invitare passa a miglior vita).

     

    La stanza degli addetti al copione, con un tavolo sovraccarico di ciambelle e litri di caffè, copia quella di Liz Lemon nella serie di Tina Fey “30 Rock”. Lì nessuno è normale, tutti hanno i loro tic e le loro manie: perfetto rifugio per riciclare Fozzie l’orso, e gli altri mostriciattoli che avrebbero dovuto insegnare ai bambini svantaggiati che la diversità – di accento e di colore – esiste anche in tv. Gli orsi barzellettieri convivono con i topolini innamorati e con i vecchietti borbottoni che dal palco sono scesi in platea, finché l’urlo di Miss Piggy squarcia la tranquillità. O non le piace l’ospite invitato, o il suo nuovo corteggiatore dà consigli sullo spettacolo. Scalzando Kermit la rana, che produce lo show e per i lamenti si rivolge direttamente allo spettatore (si è anche innamorato di un’altra maialina, più giovane e con l’eyeliner). Resta qualche dubbio sul pubblico di riferimento, e sull’infernale mescolanza tra pupazzi e veri lavoratori dello spettacolo, dannosa per entrambe le categorie. Però c’era la fila, per una selfie con Kermit o Miss Piggy. Da Reese Witherspoon a Elizabeth Banks, da Jay Leno a Joseph Gordon-Levitt, da Jennifer Lawrence a Michelle Pfeiffer.