Sveltine animate
Va a finire che si torna sui valori sicuri. E sulle lunghezze che non obbligano a investire in una serie qualche nottata di binge watching. E’ vero che il rilascio (parola orribile, bisognerà trovarne una migliore) di un’intera stagione su Netflix evita le crisi d’astinenza e l’ormai anacronistico vincolo settimanale. Ma è altrettanto vero che le sveltine hanno il loro fascino. Una serie comica che va avanti da quattordici anni, facilmente reperibile anche con i sottotitoli, si presta alla bisogna. Vanno bene anche “I Griffin” delle passate stagioni, se proprio non si possono avere i nuovissimi (sembra di essere tornati ai tempi in cui gli spettatori americani si chiedevano “Chi ha sparato a J. R.?”, e gli spettatori italiani non avevano ancora messo piede a Dallas).
La Fox cercò di ammazzare la serie – titolo originale: “Family Guy” – in culla, cambiò idea dopo che il dvd della prima stagione vendette oltre due milioni di copie. Il suo inventore (e prestatore di voci a tutti i personaggi, cani e bambini compresi) si chiama Seth MacFarlane, prima di girare il primo “Ted” con l’orsetto porcellone fu indicato dal New Yorker come “Number 1 Offender”. Meritato: le prime puntate dell’ultima stagione sbeffeggiano i cuochi e i programmi di cucina (facile). I bambini iperattivi – oops, con il deficit di attenzione, da curare con le pastigliette (già più difficile).
Presenza fissa: un poliziotto paraplegico vicino di casa. Grado di difficoltà, altissimo. Provate voi a disegnare una scena in cui la gamba offesa fa da portacoltelli, per il cuoco di turno; aveva osato tanto solo “Quasi amici”, forte di una storia vera raccontata dal protagonista: il badante nero rovescia una teiera di té bollente sulle gambe del badato tetraplegico, non crede che siano davvero insensibili (prima che le associazioni insorgano: il film di Olivier Nakache e Éric Toledano è stato un grande successo, ed era bellissimo anche grazie a quella scena). Disegnato, perché “I Griffin” sono una serie d’animazione, quindi soffrono del pregiudizio che li riduce a spettacolo per bambini.
In ordine sparso, e sfruttando tutte le forme della comicità, gli episodi si fanno beffe delle pettinature esibite negli ultimi film da Javier Bardem – basta citare il taglio paggio di “Non è un paese per vecchi” e il color geppetto di “Skyfall”. E anche questo non è difficile. Più arduo mettere in ridicolo Tom Cruise per la sua bassa statura (c’è il caso che insorga Scientology al completo). Inclassificabile, ma spassosa, la circoncisione di una renna di Babbo Natale (“Rudolph the Red Nose Reindeer” è maschio, nella loro canzoncina natalizia). Autodenigratoria la battuta “è una vita che rubiamo ai Simpson”. Ombelicale la riflessione sulla comicità, quando il cane Brian – nell’originale parla con la voce e l’intonazione di Seth MacFarlane, - decide di fare il cabarettista. Spettacoli dal vivo, perché alla HBO c’è un comico scuretto di pelle che non fa ridere: la caricatura, con il nome vero, di Aziz Ansari, comico di origini indiane titolare di una serie su Netflix.


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