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A proposito della riforma della giustizia
Abbiamo chiesto agli studenti universitari cosa ne pensano della riforma Nordio varata dal governo Meloni
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Finalmente si scorgono le luci di una giustizia diversa. Giovedì il Senato ha approvato in quarta lettura il ddl Nordio, che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, nonché il sorteggio dei membri del Csm.
Si tratta di una riforma attesa da oltre trent’anni, capace di imprimere una svolta non soltanto ordinamentale, ma anche culturale, al dibattito sulla giustizia italiana.
Per la prima volta, si compie un passo concreto verso la netta distinzione tra chi accusa e chi giudica: pilastro imprescindibile in ogni sistema giuridico che si definisca liberale.
Inevitabilmente, non poteva mancare il consueto attacchinaggio del Movimento 5 stelle, che continua a concepire la giustizia come terreno di propaganda.
"È un attacco all’indipendenza della magistratura", ha tuonato un senatore grillino.
"Si vuole mettere il bavaglio ai PM", ha rincarato un altro.
E, per non farsi mancare nulla, c’è chi ha parlato di «una riforma punitiva, che mina le fondamenta della democrazia".
Colpo di Stato, uno straccio che trattiene il respiro, punire i magistrati che fanno solo il loro mestiere. Tutto ciò si somma al macinato di castronerie di questi tre anni di opposizione.
Chi legge quotidianamente Il Foglio sa invece quanto questo tema stia a cuore a chi crede in una giustizia liberale, efficiente e realmente terza.
Non si tratta di una guerra contro i magistrati: serve a evitare quella commistione fra chi persegue i reati e chi giudica, che negli anni, ha alimentato un clima di diffidenza verso la magistratura stessa, minando la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto.
Il sorteggio dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, inoltre, pur con i suoi limiti, rappresenta una prova di sterilizzazione delle logiche correntizie. Un modo per restituirgli il ruolo di chi detiene le chiavi del terzo potere dello Stato.
Il ddl Nordio non è un totem, ma un atto di maturità: un segnale politico chiaro, che restituisce al dibattito sulla giustizia serietà e senso dello Stato.
Davide Castelli
Università degli studi di Milano
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