
Foto LaPresse
La situa - dibattiti universitari
A proposito del divieto dei cellulari a scuola
Abbiamo chiesto agli studenti universitari cosa ne pensano di un tema solo apparentemente laterale: vietare i telefoni a scuola
Abbiamo chiesto agli studenti universitari cosa ne pensano di un tema solo apparentemente laterale: vietare i telefoni a scuola. Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi). Se non siete ancora iscritti alla Situa potete farlo qui, ci vuole un minuto, è gratis.
Faccio subito coming out: non sono un amante dei divieti. Tuttavia, credo che a scuola — dove le giovani menti si formano — il cellulare, in aula, può diventare una fonte di distrazione. E in tempi in cui si moltiplicano i sospetti sull’uso dell’AI, il divieto può servire anche a prevenire il plagio e a far ragionare di più gli alunni.
Diverse scuole, già da tempo, prevedevano il ritiro dei telefoni cellulari. Con questa nuova normativa, però, si unificano tutti i regolamenti d’istituto sotto il cappello della legge dello Stato. I ministri dell’Istruzione italiani si sono sempre presentati come grandi riformatori: la Madia varò la Buona Scuola, l’Azzolina mise le ruote sotto sedie e banchi; la Lega, invece, mette i divieti.
Ed è proprio qui che risiede la vera — e forse anche bella — novità: riportare i ragazzi con lo sguardo sui libri, dove si stimola meglio la comprensione e, perché no, anche l’immaginazione. Non è solo una questione di nostalgia o di amore per la carta: uno studio interessante condotto da Mangen, Walgermo e Brønnick nel 2013 ha dimostrato che la lettura su carta favorisce una comprensione più profonda rispetto a quella su schermo.
Si è infatti osservato che gli studenti che leggono testi stampati ottengono risultati migliori nei test di comprensione e si immergono più facilmente nel contenuto, sviluppando anche una connessione emotiva più intensa con ciò che leggono. Questo perché la carta aiuta a orientarsi nel testo, facilitando la memorizzazione e il ragionamento critico — qualità fondamentali in una scuola che vuole davvero formare menti autonome e consapevoli.
Chi ama il cartaceo lo sa: libri e giornali conservano un fascino che non scolora, e gli effetti sulla forma mentis sono tangibili.
Del resto, la scuola non è rimasta ferma al passato: negli ultimi anni si è già dotata di lavagne multimediali, tablet, registro elettronico, piattaforme digitali e strumenti laboratoriali che integrano la didattica senza sostituire il libro.
Per questo, più che introdurre altri schermi tra i banchi, ha senso tornare a dare centralità alla carta: è lì che si forma la concentrazione, si affina la memoria e si coltiva davvero la capacità di pensare. Limitare l’uso dello smartphone non significa chiudere alla modernità, ma proteggere l’unico spazio in cui leggere, capire e riflettere restano atti profondi e non notifiche da scorrere.
Davide Castelli
Università degli studi di Milano
Come educatrice scolastica accolgo con convinzione la decisione del ministro Valditara di vietare l’uso degli smartphone a scuola, anche per fini didattici. Ogni giorno vedo da vicino quanto i telefoni incidano sulla concentrazione degli studenti e sulla qualità delle relazioni tra loro. La scuola dovrebbe essere il luogo in cui si impara ad ascoltare, a dialogare, a confrontarsi con calma e profondità. Lo smartphone invece, con la sua presenza costante, frammenta l’attenzione, alimenta distrazioni continue e spesso isola i ragazzi proprio nel momento in cui dovrebbero imparare a stare insieme.
Vietarne l’uso non significa rinnegare la tecnologia, ma restituirle un ruolo educativo corretto. Gli strumenti digitali devono essere insegnati e guidati, non lasciati come un’estensione permanente delle mani degli studenti. L’apprendimento non può ridursi a una ricerca rapida su Google o a una distrazione tra una notifica e l’altra. Il sapere richiede tempo, impegno, capacità critica. Tutto questo si coltiva meglio in un ambiente libero dalla dipendenza dello smartphone.
Questa scelta offre anche una grande opportunità: aiutare i ragazzi a riscoprire il valore del contatto umano, dello scambio diretto, della parola detta e ascoltata senza filtri. Noi educatori vediamo quanto spesso dietro i disagi scolastici si nasconda proprio una difficoltà nel gestire il rapporto con la tecnologia. Ridurre l’uso dello smartphone a scuola significa anche alleggerire i ragazzi da una pressione costante e insegnare loro che è possibile vivere bene e imparare meglio senza essere sempre connessi.
Naturalmente vietare non basta. Occorre accompagnare questa scelta con un serio percorso di educazione digitale che guidi gli studenti verso un uso consapevole e responsabile degli strumenti tecnologici. È così che si formano cittadini capaci di utilizzare il digitale come risorsa e non come ostacolo.
Per questo considero questa decisione un passo coraggioso e necessario. Non è un ritorno al passato, ma un modo per rimettere al centro ciò che conta davvero: la relazione educativa, la concentrazione, la capacità di pensare in modo critico. In una società che spinge continuamente verso la velocità e la connessione permanente, la scuola ha il dovere di insegnare anche la lentezza, l’ascolto, la profondità.
Elisa Scardino
Scienze dell’educazione e della formazione, UniPegaso
L’impressione è quella che la scuola italiana stia progressivamente ricalibrando il proprio scopo istituzionale: da apparato educativo e formativo, avente come riferimento l’apprendimento degli studenti, a carrozzone pubblico preso in considerazione dalla politica esclusivamente sotto il profilo del personale docente, da incrementare nel numero e stabilizzare a tutti i costi, indipendentemente dalla preparazione del singolo insegnante e dalla coerenza del suo percorso formativo con la specifica funzione a lui affidata. Al quadro, già avvilente, si aggiunga l’assenza totale di metodi di valutazione delle performance dei docenti, che si ripercuote inevitabilmente sulla qualità dell’offerta formativa.
Considerata questa scarsissima attenzione rivolta al miglioramento delle condizioni necessarie a soddisfare le esigenze didattiche degli studenti, non sorprende la circolare sull’utilizzo dei telefoni cellulari del ministro Valditara, la quale contribuisce allo sviluppo - mancato - di una scuola vetusta, che arrocca per evitare di affrontare le sfide del futuro (che in realtà è presente) con un approccio necessariamente diverso.
Dovremmo tutti prendere atto che l’IA ha cambiato il mondo: credere che gli studenti di oggi non utilizzeranno Grok o ChatGPT all’università o nel lavoro è semplicemente naïf. Ma è proprio questo irrealistico assunto a motivare la scelta del Ministro di vietare lo smartphone anche a fini didattici. Come se un divieto imposto da una circolare potesse annientare la realtà e il progresso. Una scuola all’avanguardia, piuttosto, insegnerebbe ai suoi studenti a sfruttare al meglio i nuovi strumenti digitali, sempre coordinandoli con la propria attività intellettuale ed evitando, allo stesso tempo, i rischi ai medesimi intrinsecamente connessi.
Per fare tutto questo, occorrerebbe, però, formare innanzitutto i docenti e, se il quadro che ho descritto è reale, la speranza che ciò accada è molto flebile.
Matteo Vuolo
Giurisprudenza, Federico II di Napoli


La Situa - dibattiti universitari
A proposito della Flottilla
