
La situa - dibattiti universitari
La guerra ibrida della Russia contro l'Europa
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di ragionare su quali sono i rischi che corre l'Europa nella guerra ibrida contro la Russia.
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di ragionare su quali sono i rischi che corre l'Europa nella guerra ibrida contro la Russia.. Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi). Se non siete ancora iscritti alla Situa potete farlo qui, ci vuole un minuto, è gratis.
L’atterraggio forzato dell’aereo della presidente della Commissione europea, dopo l’interferenza sul segnale Gps, è più che un episodio tecnico: è o non è il simbolo della guerra invisibile che Mosca conduce contro l’Europa? Non una guerra di carri armati o bombardamenti, ma una guerra sotto soglia, fatta di colpi silenziosi che erodono la fiducia e misurano la nostra vulnerabilità.
Il primo fronte è quello elettronico: disturbi e falsificazioni dei sistemi di navigazione satellitare, ormai ricorrenti nel Baltico e sul fianco orientale, minano la sicurezza del traffico aereo e marittimo. Non servono esplosioni per instillare paura: basta un segnale alterato per mostrare che l’Europa non è intoccabile. Segue il terreno dell’informazione. Campagne di disinformazione, manipolazione dei social, amplificazione delle fratture interne: un arsenale che non colpisce infrastrutture fisiche, ma la percezione collettiva, cercando di dividere i cittadini europei e di logorarne la coesione. A questo si aggiunge la dimensione cibernetica: intrusioni nelle reti pubbliche e private, attacchi alla sanità, ai trasporti, ai nodi energetici. Non sempre mirano al collasso immediato, ma a una lenta corrosione della fiducia e alla costrizione a spese difensive crescenti. Poi ci sono le pressioni economiche ed energetiche, i sabotaggi “grigi” alle infrastrutture sottomarine, e persino le guerre per procura, dal Sahel all’Ucraina, fino alla strumentalizzazione dei flussi migratori. Tutte tessere della stessa strategia: moltiplicare i focolai di tensione e costringere l’Europa a difendersi su più fronti contemporaneamente. Mosca combatte guerre che non sembrano guerre, e proprio per questo sono pericolose. L’Europa deve rispondere con resilienza: rafforzando le difese tecniche, proteggendo le proprie infrastrutture, ma soprattutto coltivando la propria coesione. Perché al di là delle armi visibili e invisibili, ciò che è davvero in gioco è l’anima europea.
Giorgio De Luca
La recente manipolazione del GPS che ha deviato l’aereo di Ursula von der Leyen sui cieli baltici sembra più un messaggio che un guasto. L’episodio, tra sospetti europei e smentite russe, racconta i conflitti di oggi: a Mosca non serve per forza lanciare missili, lavora nelle nostre crepe e lì prova a far passare la sua influenza. C’è la guerra ibrida: cyberattacchi, disinformazione, sostegni opachi a movimenti euroscettici. Non serve molto: un blackout in un hub energetico, un’ondata di fake news nel weekend, e la coesione salta più in fretta di un posto di blocco al confine. Poi la guerra economica ed energetica. Dal gas alle materie prime, Mosca sfrutta le dipendenze europee per ridurre la capacità politica dell’Unione. Prima della guerra in Ucraina l’UE dipendeva dalla Russia per circa il 40% del fabbisogno di gas: non stupisce che l’aumento dei prezzi dell’energia coincida con le fasi di massima tensione. Dieci euro in più di bolletta e la discussione scivola da “che Europa vogliamo” a “quanto possiamo permettercela”. E c’è la più subdola: la guerra psicologica, che mina la fiducia nelle istituzioni. Se il dibattito si polarizza e l’Unione appare fragile e divisa, per Mosca è più facile inserirsi come attore esterno e influente. E noi finiamo per credere che “tanto sono tutti uguali”. La vera minaccia non è l’invasione militare, ma l’erosione lenta della resilienza europea. La nostra tenuta non si misurerà sul campo di battaglia, ma nella forza quotidiana delle democrazie. Per contrastarla non servono chissà quali azioni accattivanti e appariscenti: bastano media indipendenti che lavorino bene, l’insegnamento nelle scuole di un’ educazione civica che accenda la testa più della pancia e, infine, trasparenza su come si spendono i soldi pubblici. Non sono slogan: sono anticorpi. Se li coltiviamo, le interferenze restano rumore di fondo; se li trascuriamo, bastano poche scintille per trasformare quel rumore in profonda crisi.
Giovanni Pazzari
Economia e Gestione Aziendale, Università Europea di Roma
Le guerre che Mosca può combattere contro l’Europa non si contano con i carri armati. O meglio: i carri armati ci sono, in Ucraina, ma il vero fronte passa altrove. L’aereo di Ursula von der Leyen costretto ad atterrare per interferenze Gps è un segnale: la Russia non ha bisogno di sparare per mostrare i muscoli. Può disturbare, destabilizzare, logorare. La prima arma è il cyberspazio. Hacker e attacchi informatici diventano l’equivalente moderno dei bombardamenti: si può bloccare una centrale elettrica, una banca, perfino un ospedale. Non fa rumore, ma può mettere in ginocchio un Paese, mostrando i limiti delle difese europee. La seconda arma è la propaganda. Mosca è maestra nell’arte della disinformazione: troll, fake news, canali Telegram e siti più o meno mascherati che inquinano il dibattito pubblico europeo. L’obiettivo non è convincere tutti, ma dividere, creare sfiducia, spaccare le democrazie dall’interno. E funziona: basta insinuare un dubbio o amplificare una protesta perché il terreno politico diventi instabile. La terza è l’energia. Il gas usato come arma politica vale quanto un arsenale: basta chiudere un rubinetto per accendere il malcontento sociale in mezzo continente. Un inverno al freddo, con bollette insostenibili, pesa più di una raffica di missili. E poi c’è la politica: Mosca sostiene movimenti che sognano meno Europa e più sovranismo, alimentando un racconto alternativo al modello liberale. È una guerra di identità, non solo di interessi, che mina la fiducia stessa nel progetto europeo. In fondo, il Cremlino combatte con strumenti asimmetrici: piccoli colpi che fanno grandi danni, battaglie invisibili che erodono la fiducia, conflitti senza dichiarazione di guerra. Ed è proprio questo il punto: l’Europa rischia di sottovalutare l’insidioso potere del logoramento. Putin non vuole conquistare l’Europa con i carri armati: vuole renderla fragile, divisa e stanca. E per farlo gli bastano un virus informatico, una fake news e un rubinetto del gas. L’arma più potente non è militare, ma psicologica: la capacità di farci dubitare di noi stessi.
Elisa Scardino
scienze dell’educazione e della formazione, UniPegaso
L’atterraggio anomalo dell’aereo che trasportava Ursula von der Leyen in Bulgaria, dopo le presunte interferenze al sistema GPS, ha riacceso l’attenzione sulla minaccia russa nei confronti dell’Europa. Varie sono le versioni fornite sull’accaduto: secondo le autorità bulgare e la Commissione europea, il blocco dei segnali satellitari sarebbe causato da un attacco di jamming da parte della Russia; invece, analisi indipendenti come quelle di Flightradar24 hanno sostenuto che non vi sarebbero state anomalie significative durante il volo e che l’episodio sarebbe stato amplificato a fini politici e comunicativi. In ogni caso, credo che quanto accaduto dimostri come la competizione strategica tra Russia e UE si giochi non soltanto sul campo militare tradizionale, ma sempre più anche sul piano tecnologico e informativo. Questo episodio si inserisce in un quadro più ampio, segnato dall’interrogativo che preoccupa l’Europa: può scoppiare una guerra tra Mosca e l’Unione? La risposta non è più un secco no, ma un sì che resta improbabile nel breve periodo, pur non essendo più quasi impossibile. In caso di escalation, l’obiettivo russo non sarebbe l’Italia, la Francia o la Germania, ma i piccoli stati ex sovietici dove vivono consistenti minoranze russe e che già da tempo sono terreno di azioni ibride, campagne di disinformazione e pressioni politiche. Ad ogni modo, è chiaro quale sia il calcolo strategico di Mosca: favorire le divisioni interne all’Unione, alimentare la sfiducia reciproca tra Europa e Stati Uniti, soggiogare l’Ucraina e colpire poi le repubbliche baltiche contando sulla riluttanza degli europei occidentali a impegnarsi in un conflitto diretto, anche per il timore di un attacco nucleare. In questo contesto, il caso dell’aereo di von der Leyen, che sia stato davvero frutto di un jamming russo o soltanto un incidente trasformato in narrazione geopolitica, assume il valore di un segnale: la guerra ibrida è già qui e precede quella tradizionale.
Aurora Forlivesi
studentessa di LM COMPASS, Università di Bologna