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La situa - dibattiti universitari
A proposito dei mille giorni del governo Meloni
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di dirci in duemila battute cosa pensano del governo Meloni, dei suoi primi mille giorni
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di dirci in duemila battute cosa pensano del governo Meloni, dei suoi primi mille giorni. Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi)
Da tre anni gli italiani si addormentano con la certezza che al risveglio ritroveranno lo stesso Governo. Cioè con la consapevolezza che finalmente un’improvvisa crisi di governo non spazzi via l’ennesimo esecutivo. Il che basta per definirla un’esperienza stabile e longeva. Perché, nell’ottobre del 2022, tutto si poteva dire, tranne che ci si aspettasse stabilità e longevità. E se tutto procede secondo i piani, siamo dinanzi a un caso unico nella storia della Repubblica: il primo governo che completa un’intera legislatura. Stabile, stabilissimo!
Curiosando, ho cercato sinonimi di stabile sull’Enciclopedia Treccani. Ne ho trovati tanti, ma nessuno che colmasse lo scontento per non aver trovato quello che cercavo: immobile. Ciò vuol dire che essere stabili non significa essere immobili. Sorprendentemente, però, per molti aspetti il governo Meloni riesce ad essere stabile e immobile allo stesso tempo. Infatti, a parte qualche decreto, delle ambiziose riforme presentate in campagna elettorale è rimasto ben poco: il premierato ha ormai le ragnatele, la riforma della giustizia è una lotta continua con la magistratura, l’autonomia differenziata è una riforma azzoppata. Immobile, immobilissimo! Al punto che, ad oggi, sarebbe difficile dire cosa sia realmente cambiato nel nostro Paese. Tutto sarebbe dovuto cambiare. Per ora, però, questo governo non ha ancora avuto il tempo – forse il coraggio – di incidere nella Storia.
Per Aristotele l’uomo è un animale politico e il governo sembrerebbe prendere alla lettera il filosofo greco. Nel mondo animale, infatti, l’immobilità tonica è una tecnica difensiva che trae in inganno il predatore facendogli credere che la preda sia già morta, quindi non più interessante. Nel mondo umano, però, solo chi non fa non sbaglia. Forse il governo si difende dalla pericolosa preda di sinistra, forse non ha il coraggio di fare, nel bene e nel male, la Storia per non sbagliare.
“Non ci hanno visto arrivare”, dicevano. Sì, ma forse neanche passare.
Pierpaolo Carmine Beccarisi
studente alla Luiss, magistrale in Governo, Amministrazione e Politica
Giorgia Meloni taglia il traguardo dei mille giorni alla guida del governo, diventando così la quinta figura più longeva nella storia repubblicana. Un traguardo politico che assume ancora più rilievo se si guarda allo stato dell’opposizione, che a soli due anni dalle prossime elezioni è ancora priva di una vera coalizione, di un leader riconosciuto e di una visione unitaria.
Credo che una delle chiavi di questa stabilità vada cercata nella leadership di Meloni, nella capacità di far percepire all’opinione pubblica che, al momento, non ci siano reali alternative né a destra né a sinistra in grado di guidare il Paese.
Una cosa che emerge chiaramente è la capacità di Meloni di tenere salde le redini sia del governo che del suo partito. Personalmente, trovo molto interessante la sua politica estera: si è allineata saldamente al Capo dello Stato e si è distinta dagli estremismi, scegliendo una linea più equilibrata e europeista.
Ma forse il vero punto di forza è la sua strategia comunicativa. Meloni ha adottato un approccio sobrio, diretto e controllato, prendendo le distanze da modelli iper-presidenziali. Mi sembra che questa scelta risponda a una doppia logica: è sia una strategia narrativa sia un meccanismo di autodifesa.
Il suo linguaggio è semplice e popolare, ma non populista, dominato da verbi d'azione come "fare" e “cambiare”, e anche nella comunicazione visiva c’è una logica rigorosa: mai immagini fuori posto, mostrandosi così in una luce più solenne e riconosciuta a livello globale.
È la comunicazione di chi vuole durare, e in politica, durare è già una forma di potere.
Ma, nonostante la stabilità rappresenti un valore, da sola non risolve i problemi strutturali del Paese. La sfida ora è passare dalla gestione alla visione e rimediare a quanto non è stato fatto: perché senza un progetto ambizioso per il lavoro, per il Sud, per la sanità e per le famiglie, anche la leadership più solida rischia di apparire immobile.
Aurora Forlivesi
studentessa di LM COMPASS dell’Università di Bologna
Dopo 1000 giorni di governo Meloni, è tempo di un verdetto, personalmente positivo. Parliamo dell’esecutivo oggi più longevo nell’Unione Europea: un dato che da solo legittima una riflessione approfondita sul suo operato, ora che si avvicina il traguardo dei tre anni. Il giudizio, sul fronte della politica estera, è decisamente lodevole. L’Italia si è dimostrata salda nella sua vocazione atlantista, più vicina all’Europa e coerente nel sostenere la resistenza ucraina, che da oltre tre anni si difende eroicamente dall’aggressione russa. Un sostegno reso possibile anche da un’Unione Europea che ha saputo reagire, affermandosi come argine politico e morale contro i crimini di guerra di Mosca. Un posizionamento solido, in parte inaspettato, per me e altri diffidenti. All’inizio, questo governo sembrava infatti costruito secondo un manuale Cencelli, con un equilibrio di forze calibrato tra alleati e correnti. E invece, con il tempo, ha mostrato una tenuta e una coesione forse insperate. Sul piano delle riforme strutturali, qualche segnale c’è stato.
È giusto riconoscere, ad esempio, l’avvio della riforma sulla separazione delle carriere in magistratura: una misura attesa da decenni, che rappresenta un passo avanti per garantire maggiore equilibrio e terzietà tra giudici e pubblici ministeri. Se portata a termine nel rispetto dei contrappesi costituzionali, può contribuire a migliorare il rapporto tra giustizia e cittadino. Anche l’autonomia differenziata, se attuata con equilibrio e responsabilità, può rivelarsi un’opportunità: rafforzare i territori, rispondere in modo più efficace ai bisogni locali e, forse, risolvere una volta per tutte il contenzioso legislativo tra Stato e Regioni. Ma su questo, come su molte altre riforme in agenda, siamo ancora ai primi passi. E serve più coraggio.
Da un governo di centrodestra ci si potrebbe aspettare anche di più sul piano economico. Più mercato, più concorrenza, meno Stato dove non serve. In quest’ottica, la direttiva Bolkestein resta ancora lettera morta. Una visione autenticamente liberale e riformista resta, per ora, sullo sfondo — e invece potrebbe offrire all’Italia un impulso prezioso per lo sviluppo di lungo periodo. Certo, non sono mancati gli inciampi.
Cadute di stile, attacchi diretti (anche a questo giornale), forzature comunicative. Elementi che lasciano perplessi, e che minano, talvolta, la percezione di autorevolezza e prestigio che un governo dovrebbe saper trasmettere. Ma nel complesso, la tenuta c’è. Ora però serve meno attendismo, meno immobilismo. Serve il coraggio di cambiare davvero il Paese, nel segno di una modernità non solo evocata, ma finalmente costruita.
Davide Castelli
Università degli studi di Milano
Raggiungere la soglia dei 1000 giorni è probabilmente la più grande vittoria del governo Meloni fino ad ora. Sì, capita che la maggioranza traballi, che emerga un disguido per i toni di Vannacci o per qualche voto disgiunto a Bruxelles, ma rimane solida. Restare seduti per 33 mesi nella stessa sedia, tuttavia, non è necessariamente sinonimo di buongoverno.
Bisogna riconoscere che l’esecutivo si è mosso sorprendentemente bene in ambito economico, energetico e internazionale: ha eliminato riforme insostenibili e ingiustificate, come il Superbonus 110% e il reddito di cittadinanza, ha finalmente aperto le porte al nucleare, ed è rimasto solidamente a fianco dell’Europa e dell’Ucraina.
Tuttavia da una maggioranza così stabile ci si aspetterebbe certamente di più. Mancano scelte coraggiose a livello nazionale, supportando e investendo nei giovani e nelle famiglie. Allo stesso modo, sul piano internazionale il governo preferisce non prendere posizioni chiare verso USA e Israele, rimanendo in silenzio persino dopo gli attacchi alla nostra connazionale Francesca Albanese. Anche sul già citato nucleare non si sentono aggiornamenti da mesi, mentre le riforme economiche, come il taglio del cuneo fiscale, sono ancora temporanee, senza indizi su come verranno finanziate in futuro.
In più, le riforme costituzionali portate avanti finora sembrano solo uno spreco di forze. La mancanza di strategia è lampante, portando le proposte dei partiti a contraddirsi a vicenda: se con il premierato Fratelli d’Italia vuole concentrare più potere nell’esecutivo, allo stesso tempo l’autonomia differenziata della Lega vuole restituirlo alle regioni. Per non menzionare la riforma della giustizia, portata avanti da un ministro compromesso dai casi Almasri e Paragon.
La stabilità dunque ci fa bene, senza dubbio, ma non sembra che il governo la stia sfruttando al meglio: istruzione, sanità, salari, sono solo alcuni degli ambiti che il governo sembra ignorare, lasciandoli nelle condizioni disastrose in cui versano da tempo.
Il governo svolge la sua attività spostandosi da crisi in crisi, mettendo cerotti ovunque servano a forza di decreti legge, ma di riforme strutturali di lungo termine non c’è quasi traccia.
Meno male che, con l’opposizione di oggi, abbia ancora un paio di legislature per recuperare.
Edoardo
studente di Politics: Philosophy & Economics alla LUISS
Mille giorni sono tanti e pochi. Sono abbastanza per capire un orientamento politico, ma forse non bastano per giudicare fino in fondo. Eppure una cosa è certa: Giorgia Meloni è riuscita in qualcosa che, in Italia, non accadeva da tempo. Ha garantito stabilità, una narrazione coerente, un’identità. Ma basta?
Sul fronte internazionale, la premier ha mostrato fermezza e abilità diplomatica. Ha rafforzato il ruolo dell’Italia in Europa, ha cercato di gestire i flussi migratori mantenendo un difficile equilibrio tra fermezza e realismo, e ha portato avanti un dialogo col Sud globale che pochi governi prima di lei avevano preso sul serio. Non è poco.
Eppure, dentro i confini di casa nostra, restano ombre. Il lavoro precario resta il grande irrisolto. Il cuneo fiscale è stato ritoccato, ma i salari restano bassi, specie per chi, come me, lavora nel sociale o nella scuola. La natalità è in calo, ma senza servizi reali (asili, trasporti, tempo per vivere), gli incentivi monetari restano cerotti su una frattura culturale profonda.
E poi c’è la scuola, la grande dimenticata di ogni governo. Tanti slogan, pochi investimenti veri. Si parla di merito, ma non si lavora sul contesto che permette a ogni studente di emergere. E l’istruzione digitale, di cui tanto si è detto in pandemia? Dimenticata. Si fa molto parlare di intelligenza artificiale, ma poco di competenze critiche, di educazione civica, di cittadinanza digitale.
Meloni ha saputo parlare all’Italia profonda. Ora serve che ascolti l’Italia fragile. Quella che non ha voce, ma ha bisogno. Che non chiede ideologia, ma presenza.
Forse non è ancora tardi.
Elisa Scardino
corso di laurea L-19, Università Telematica Pegaso



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