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La situa - dibattiti universitari
A proposito della natalità in Italia
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di offrirci qualche spunto di riflessione sul tema dei temi: “Cosa serve all'Italia per invertire il trend negativo della natalità? cosa non stiamo facendo?".
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di offrirci qualche spunto di riflessione sul tema dei temi: “Cosa serve all'Italia per invertire il trend negativo della natalità? cosa non stiamo facendo?". Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi)
La demografia è lo specchio della realtà che viviamo oggi, noi giovani, una realtà sempre più difficile e competitiva. Ogni minimo errore ha un prezzo alto, e il lavoro è spesso trattato come merce di scambio per una vita al limite della dignità umana.
La differenza tra ieri e oggi sta nel valore che diamo al lavoro e, soprattutto, al lavoratore. Sebbene oggi esistano più tutele legislative rispetto a quindici anni fa, il lavoratore è sempre più povero. Formare una famiglia – tradizionale o meno – appare ormai come un privilegio riservato a chi nasce nell’ambiente “giusto” e con le conoscenze “giuste”.
Il trend demografico negativo dell’Italia è lo specchio della gestione politica degli ultimi anni. L’età media in cui si diventa genitori si è alzata, mentre la possibilità economica di avere figli si è drasticamente ridotta: un andamento inversamente proporzionale. . I fattori demografici sono svariati e non si può credere che chi lavora nelle zone più limitrofe dalle grandi città ha una possibilità, perché non si parla solo di costi ma anche di accesso alle cure e trasporti adeguati.
Se mi chiedessero di immaginarmi a 31 anni, tra dieci anni, direi che probabilmente non avrò ancora figli. Non perché non lo desideri, ma perché “non è il momento giusto”. E questa retorica del momento giusto – che ormai è diventata la norma – è uno dei problemi principali. Realizzarsi sul piano personale e professionale non dovrebbe essere incompatibile con la genitorialità. In particolare, è urgente rafforzare la tutela del lavoro femminile. La parola "maternità" spaventa molte giovani donne come me, perché nella realtà attuale sembra implicare una rinuncia: alla carriera, alla stabilità, alla libertà. Al contrario, "paternità" è solo recentemente diventata un tema di cui si può parlare, un concetto che solo ora inizia a essere riconosciuto anche come responsabilità attiva dell’uomo.
Non esiste una ricetta semplice per invertire il trend negativo. L’inflazione e l’aumento del costo della vita sono problemi strutturali. Ma un primo passo concreto sarebbe alleggerire i costi che ogni cittadino italiano è chiamato a sostenere quotidianamente. Incentivare la natalità non significa solo dare bonus, ma creare una società dove fare un figlio non sia percepito come un lusso.
Alessia Lapietra
giurisprudenza. Università Bocconi di Milano
A giudicare dai dati divulgati dall’ISTAT sul trend della natalità, non si può non notare come l’Italia stia perdendo, ogni anno, l’equivalente degli abitanti del comune di Bologna. Se si mette insieme chi nasce, chi muore e chi invece parte per cercare fortuna all’estero, il risultato è un saldo fortemente negativo, causato da un mancato ricambio generazionale: semplicemente, non nascono abbastanza bambini per compensare chi ci lascia o se ne va dall’Italia. Una curva decrescente, quindi, che ogni anno al massimo peggiora un po’ meno rispetto all’anno precedente, ma che continua a calare. Da noi, dove il problema delle culle vuote è ormai visto come un fenomeno strutturale, si tende spesso ad attribuirne le cause alle ragioni più svariate – e talvolta faziose – che vanno dagli stipendi che non sono mai abbastanza, fino alla narrazione secondo cui le donne di oggi preferirebbero la carriera alla maternità. Quale soluzione quindi? Il governo ha parlato più volte, nei propri programmi e non solo, di sostegno reale e concreto per spronare le coppie a fare figli. E ritorna inesorabile lo spauracchio del bonus: lo Stato italiano ti dà un po’, ma per un periodo limitato e non conforme ai tuoi bisogni reali, evitando da anni di guardare al problema con gli occhi della strutturalità. Un esempio virtuoso da cui trarre ispirazione potrebbe essere la Svezia, spesso indicata come laboratorio sociale nel cuore dell’Europa. Anche lì il tasso di natalità è recentemente sceso a livelli minimi, circa 1,43 figli per donna nel 2024, ma la risposta politica non si è limitata a misure spot. Il governo ha avviato un'inchiesta nazionale per comprendere a fondo le cause del calo demografico e individuare risposte sistemiche, affrontando questioni come la precarietà economica, la difficoltà nel trovare casa, l’instabilità lavorativa, l’età avanzata del primo figlio e perfino l’aumento del disagio psicologico tra i giovani. A differenza dell’approccio italiano, la Svezia investe da anni in politiche stabili e ben pensate per sostenere chi vuole diventare genitore. Non si parla solo di soldi in più, ma di un sistema che funziona davvero: congedi parentali lunghi e flessibili, asili nido accessibili e diffusi, orari di lavoro compatibili con la vita familiare. E soprattutto, una mentalità pubblica che non fa sentire le famiglie sole.
Davide Castelli
Università degli studi di Milano
L’Italia non fa più figli, ma fa ancora finta di chiedersi perché. La risposta è semplice, ma non fa notizia: mettere al mondo un bambino, oggi, è un lusso che solo pochi possono permettersi.
Non è una questione di fertilità biologica, ma politica. La natalità non si rialza con i bonus-tampone, ma con riforme strutturali. Invece si continua a parlare di “denatalità” come se fosse un fenomeno meteorologico, e non il frutto di scelte (o non-scelte) collettive. Il problema è che non stiamo facendo nulla che implichi una visione di lungo termine. Mancano servizi, tutele, tempo, case accessibili, lavoro stabile. Mancano luoghi dove i figli possano crescere, e adulti messi in condizione di generarli senza dover scegliere tra la precarietà e la rinuncia.
Non stiamo costruendo un Paese dove fare figli sia compatibile con una vita piena. Dove maternità e paternità non siano eroismi, ma possibilità. Non stiamo dicendo alle donne che possono diventare madri senza dover scomparire dal lavoro. Non stiamo dicendo agli uomini che possono essere padri presenti senza essere penalizzati. Non stiamo mettendo i figli al centro: né della spesa pubblica, né del racconto nazionale.
La natalità è un termometro. E misura il freddo che attraversa una società che non crede più nel futuro, e quindi nemmeno nei figli. Non basta invitare le famiglie a “fare la loro parte”. Serve uno Stato che faccia la sua, prima e meglio. Che investa, che faciliti, che scelga: più asili nido, più congedi veri, meno burocrazia, meno solitudine. Serve un’alleanza fra generazioni, non un rimpianto a orologeria.
Perché senza figli non si muore solo di numeri. Si muore di sfiducia.
Elisa Scardino
studentessa di Scienze dell’Educazione, Università Telematica Pegaso
La verità è che quasi tutte le battaglie fondamentali sono state accantonate. Mi riferisco a quelle rivendicazioni che dovrebbero essere il cuore dell’identità della sinistra e che ne definiscono i confini politici e culturali. Il motivo di questo allontanamento sfuma, o perlomeno non si comprende se non inserito in un orizzonte che fa della sinistra un composto disomogeneo, costitutivamente disallineato, che ha perso per strada le proprie radici, e che sembra, come tutti gli attori politici, perseguire battaglie puramente ideologiche, prive di concretezza che nulla hanno a che fare con i temi cardini di una vera sinistra: le condizioni dei lavoratori, l’equità e la giustizia sociale, la promozione di condizioni di vita migliori, il diritto allo studio, la sanità pubblica (per elencarne alcune). La sinistra non si riduce a questi elementi ma non può prescinderne. Eppure, sembra ne stia facendo a meno; e questo appare evidente anche dall’incidenza che le idee promosse dalla sinistra hanno sulla popolazione. Nell’immaginario collettivo la sinistra è ormai ridotta a due funzioni: la difesa e la promozione dei diritti per la comunità LGBTQIA+ e la promozione di politiche migratorie di stampo integrazionista; la domanda che mi pongo è, stante la ferma convinzione che anche queste siano rivendicazioni imprescindibili che il nostro tempo ci pone di fronte, si può ridurre solo a questo la sinistra? Quali sono stati i risultati sociali che la sinistra ha garantito in questi ultimi anni? Quali sono state le condizioni di lavoro che la sinistra ha contribuito a migliorare in questi ultimi anni? (Dove stava la sinistra quando prese piede l’occupazione della GKN e dove sta ora?). Quali sono state le nette prese di posizione che in questi anni hanno fatto della sinistra uno schieramento chiaro, coerente e saldo nei propri principi? Più che quali temi ha deciso la sinistra di accantonare, mi chiederei quali temi ha deciso di sostenere sulla base della consapevolezza della propria identità? Cosa sa la sinistra di sé stessa? In ultimo, è chiaro che la sinistra stia perdendo terreno, ma meno chiaro sembra il fatto che la sinistra stia perdendo sé stessa, essendo una malgamama disarticolata, priva di leadership, che si trascina vuoi per abitudine vuoi per inerzia.
Marco Bicchi
laurea magistrale in Filosofia e linguaggi della modernità, Università di Trento
La natalità non crolla: si ritira. Come l’acqua, il lavoro, lo Stato. Quello che chiamiamo “inverno demografico” è solo il nome tecnico del fallimento di una civiltà che non sa più riprodursi – né biologicamente, né culturalmente. E non è colpa di chi non fa figli. È colpa di un sistema che ha cancellato le condizioni per desiderarli.
In Italia non si nasce perché non si può scegliere. Perché l’autonomia è un privilegio, non un diritto. Perché una donna sa che la maternità può diventare condanna. Perché nelle aree interne chiudono i reparti nascita, nei quartieri popolari mancano i pediatri, e nei centri città gli affitti mangiano metà stipendio. I giovani non rimandano i figli: rimandano sé stessi, inchiodati in un tempo sospeso tra stage, mutui impossibili, e solitudini urbane mascherate da libertà.
La politica risponde con assegni, family day, fondi a pioggia. Ma è un teatrino che non cambia la scena. L’unica vera riforma sarebbe ridistribuire il potere: sul territorio, tra le generazioni, tra i generi. Restituire tempo, casa, reddito, voce. E restituire senso: smettere di trattare la natalità come statistica e iniziare a considerarla per quello che è – una relazione tra fiducia e futuro.
Chi fa figli oggi lo fa nonostante tutto. Ma costruire un paese in cui si possa farli per qualcosa, e non contro qualcosa, richiede più di un piano. Richiede un’idea di società. E noi, da troppo tempo, non ne abbiamo una.
Giuseppe Lopergalo
università di Bologna


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