La situa - dibattiti universitari

A proposito di sinistra e riarmo europeo

Abbiamo posto agli studenti universitari di aiutarci a ragionare su due temi. A: Cosa si sta perdendo per strada la sinistra italiana? B: Cosa vuol dire vedere un'Europa che si riarma per difendere la pace? Le risposte

Abbiamo posto agli studenti universitari di aiutarci a ragionare su due temi. A: Cosa si sta perdendo per strada la sinistra italiana? B: Cosa vuol dire vedere un'Europa che si riarma per difendere la pace? Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi)

 


   

La sinistra italiana è come un costruttore che cerca di costruire un palazzo demolendone le fondamenta. In questi ultimi anni la Sinistra, se così la si può definire, ha orientato la propria rotta verso i diritti civili, sventolando la bandiera arcobaleno e riassumendo in essa i diritti degli omosessuali, l’antifascismo, l’ambientalismo, formulando un’idea di libertà ibrida e del tutto nuova, in cui tutto può essere lecito se rientra nei canoni fissati da un ristretto circolo di persone, che con lo stesso piglio autoritario di Minosse nell’inferno può condannare idee e proposte all’eterna dannazione. Facendo ciò la Sinistra si è sempre di più chiusa nei salotti e nelle interviste degli attori e dei cantanti, e si è allontanata sempre di più dal Paese reale. Accogliere ed ascoltare pareri ed endorsement di intellettuali vicini alla sinistra non è di per sé negativo per un partito: il PCI dalla sua fondazione ha tratto vantaggio anche dall’adesione, palese o meno, di numerosi personaggi pubblici, ma tra il rafforzarsi grazie alla visione di una voce autorevole e il confinarsi in un cenacolo elitario c’è un’enorme differenza.
Questa perdita di empatia con i cittadini ha reso possibile per le nuove formazioni di stampo populista di assorbire velocemente i voti di quelle persone oggi vedono nella sinistra solo un circolo di professoroni. La sinistra non riesce a formulare proposte sui temi che sono priorità per la gente comune come l’immigrazione, il lavoro e la guerra: arrivano solo attacchi alla parte opposta, recriminazioni che non portano ad alternative, ma che spesso mostrano anche le violente divisioni interne alla stessa opposizione; nemmeno nel campo dei diritti a sinistra esiste una visione lineare: la avrebbero potuto mettere l’accento sui diritti civili senza mettere in secondo piano i diritti sociali, ma hanno scelto di abbracciare i primi e di accantonare i secondi, plasmando politici che si trovano a loro agio in una trasmissione in prima serata ma che farebbero fatica a parlare in una fabbrica, dimenticando la propria storia e rendendo estremamente difficile per le formazioni di Sinistra non solo governare, ma anche essere opposizione.
 
Francesco Archilli
studente di Lettere
 
 
Negli ultimi anni, la sinistra italiana ha progressivamente messo da pate alcune battaglie fondamentali, immigrazione, sicurezza e guerra in Ucraina, un campo di battaglia sbandato, dove ogni fazione fa da sé, lasciando terreno fertile alla destra con posizioni nette e rassicuranti. Il futuro politico della sinistra si gioca sulla capacità di una coesione ideologica, di credibilità e di responsabilità concreta verso i cittadini non ammettendo ambiguità e opache promesse. La guerra in Ucraina simboleggia il fragile filo dell’unità europea, le posizioni sfumate e queste esitazioni della sinistra han rilevato l’incapacità di un fronte saldo, sostenendo posizioni pacifiste o neutraliste, dimenticando che in contesti di crisi è fondamentale per la sicurezza che le forze politiche si schierino dalla parte della legalità internazionale. Perché tali scelte?Per non spaccare l ‘elettorato. Il tema dell’immigrazione: una porta aperta, ma con cancelli chiusi. La sinistra ha puntato tutto sull’accoglienza, abbracciando ideali elevati sfociati in buonismo, e perdendo il contatto con la realtà quotidiana della popolazione. Non dimentichiamo che una casa per essere funzionale necessità di serrature e porte, che non sono sintomo di disarmonia. L’accoglienza deve essere funzionale, un meccanismo di regole e politiche efficaci che agevolino l’integrazione e non portino alla realtà attuale dove insicurezza e sfiducia nelle istituzioni regnano. La destra è chiaramente stata capace di capitalizzare le paure e il bisogno dei cittadini di risposte rapide ed efficaci, a discapito di una sinistra disgregata e concentrata su una battaglia intellettuale ed ideologica sull’origine dei problemi sociali. Un esempio emblematico che ha messo in ginocchio la sinistra è il caso dell’occupazione edilizia e la vicenda Salis, qui la percezione diffusa è quella di un giustizialismo occasionale e di scarso rispetto dell’ordine pubblico nel condannare all’unisono atti di illegalità verso i cittadini nella loro sfera privata e sociale. Il motivo di tale rotta politica? Abbracciare idee progressiste in chiave più umana verso la giustizia ma senza garanzie concrete di protezione.

Letizia Spizzo
studentessa di giurisprudenza, Università degli Studi di Bari Aldo Moro
 
 
Mai come oggi la pace raggiunta dopo la Guerra Fredda è in pericolo. Sembra di rivivere le dinamiche del secondo dopoguerra quando, una serie di crisi internazionali, fece riemergere la necessità di ricostruire un nuovo sistema di difesa. Riarmare, sì, ma per deterrenza. Checché se ne dica, quel riarmo portò pace e, indirettamente, un avvenire tranquillo e prospero, protetto dalla forza deterrente – lo sottolineo – del riarmo. Perché riarmarsi non significa andare in guerra, ma prima di tutto difendersi.
Le similitudini con quel periodo non finiscono: come allora, gli europei cercano un’intesa sul riarmo, considerato come deterrenza comune. Come allora, i tempi sono funestati da crisi esterne al continente che minano prosperità e pace. Come in quel contesto, anche oggi i paesi sono sì convinti della necessità di riarmarsi, ma non su modalità e tempistiche. Infine, come allora, alcuni partiti e parte dell’opinione pubblica sono ostili al riarmo.
Se nella società serpeggia un crescente sentimento contrario ai piani europei sul riarmo, è anche vero che oggi, come allora, il fantasma della CED è tutt’altro che svanito. Fallendo, la Comunità Europea di Difesa mise in pericolo i nascenti progetti di integrazione, in quel momento ancora in fase embrionale. Quel fallimento spinse la storia dell’integrazione verso altre direzioni e il vuoto lasciato dalla CED venne colmato dal Patto Atlantico – siglato pochi anni prima – che diede vita alla Nato, affidandole di fatto la difesa dell’Europa.
Oggi, però, non è chiaro quando e come finirà la partita sul ReArmEu, né se la Nato sarebbe pronta, ancora, a sopperire alle nostre mancanze.
Ad alcuni il riarmo fa paura. Ma, se questo progetto fallisse ancora, potremmo contare nuovamente sulla Nato? Non sarà questa incertezza a fare più paura? La vera minaccia non sarebbe il riarmo in sé, ma un suo eventuale fallimento che, se sommato a un probabile dietrofront atlantico, potrebbe lasciarci in balia delle minacce belliciste esterne.

Pierpaolo Carmine Beccarisi
studente Luiss, magistrale in Governo, amministrazione e politica
 
 
Uno dei grandi assiomi della politica è che per vincere un’elezione serva almeno uno di questi tre elementi: un leader forte, una proposta credibile o un avversario politico decaduto. Se il centrodestra può accontentarsi di fare scudo attorno all’immagine di Giorgia Meloni, eclissando confusioni e ritardi sulle riforme, per difendere il primato politico della coalizione, il centrosinistra ha bisogno di (re)inventarsi in visita delle prossime politiche se non vuole affidare le proprie speranze di vittoria ad eventuali disastri della maggioranza.
Il problema di fondo del campo largo è più di sostanza che di forma, visto che dopo 3 anni di opposizione non si è ancora ottenuto un disegno chiaro della coalizione: non possiamo chiederci se il leader o il programma siano credibili quando facciamo fatica ad individuarli con chiarezza. Il compito di dettare la linea spetterebbe inevitabilmente ad Elly Schlein, visto il primato conquistato sul campo dal PD, ma la segretaria preferisce rintanarsi nell’ambiguità politica pur di non scontentare nessuna corrente, barattando la stabilità interna del partito con una percezione esterna di precarietà.
La stabilità è un concetto cardine nella politica italiana, e non solo. Il centrodestra ha vinto le scorse elezioni perché ha dimostrato di poter garantire maggiore stabilità al paese. La Meloni viene apprezzata anche all’estero per la sua capacità di garantire stabilità governativa all’Italia a differenza degli altri paesi europei e in controtendenza rispetto alla nostra storia politica.
Ma la stabilità è anche un tema politico da cui ripartire, attorno a cui plasmare un’agenda politica del campo largo, sul lavoro e sulla sicurezza. Limitandoci al piano politico e ignorando i risvolti economici, talvolta negativi, le proposte volte a combattere il precariato o lo stesso salario minimo si prestano molto alla storia politica della sinistra e, come dimostrato dai sondaggi e dal referendum dell’8-9 giugno, sono in grado di ottenere consensi trasversali.
Al contrario la difesa della sicurezza è da anni diventato monopolio della destra, anche per il timore del centrosinistra di urtare la spiccata sensibilità della minoranza più idealista verso temi come razzismo e immigrazione, finendo per assumere agli occhi dell’opinione pubblica un atteggiamento giustificazionista del crimine (soprattutto degli immigrati), anche a causa della difesa di personaggi controversi come Salis e Cospito, rendendo inviso il tema dei diritti civili persino ad una fetta del proprio elettorato (30% di “No” al quinto quesito referendario). “Legge e ordine” non è un imperativo alieno alla storia della sinistra (Blair, Obama, per rimanere in Italia lo sceriffo De Luca) anzi è un collante naturale, uno dei pochi, tra le forze del campo largo, in grado di unire i 5 Stelle, autori del Decreto Sicurezza e “conservatori” sui diritti, e le forze riformiste.
Il campo largo ha due anni di tempo per dare risposte che non siano i Definitely Maybe, per restare in tema Oasis, a cui ci ha abituato la Schlein, in vista di una possibile reunion. Ma in questo caso, a differenza dei fratelli Gallagher, la musica dovrà cambiare. 

Filippo Vuocolo
studente di International Economics and Finance all’Università Bocconi di Milano