La situa - dibattiti universitari

A proposito del riarmo europeo

Fa più paura questo o più paura quello degli stati canaglia? Ci scrivono gli studenti universitari

Abbiamo chiesto agli studenti universitari di ragionare su un tema delicato: il riarmo europeo. Fa più paura questo o più paura quello degli stati canaglia? Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi)

 


   

È vero che il riarmo europeo può far paura, soprattutto a chi è cresciuto con l’idea che l’Europa fosse un continente ormai pacificato, unito dal diritto e dalla cooperazione economica. Però paragonare il riarmo dei Paesi UE a quello russo o iraniano rischia di essere un errore di prospettiva: la Russia ha invaso uno Stato sovrano, l’Ucraina  è l’Iran continua ad alimentare instabilità in Medio Oriente. L’Europa, invece, sta cercando (finalmente) di dotarsi di strumenti adeguati per difendere i propri cittadini, i propri confini e anche i propri interessi strategici, troppo spesso rimandati o delegati ad altri.
L’illusione nata con la caduta del Muro di Berlino, quella di una pace duratura e quasi “naturale”, è venuta meno, ce ne siamo accorti purtroppo già da tre anni. Senza investimenti concreti nella difesa, non solo non c’è sicurezza, ma viene meno anche la stessa sovranità ,perché uno Stato o un’Unione che non è in grado di proteggersi, prima o poi dipende da qualcun altro. E questo vale anche in un contesto multilaterale come la NATO, con cui anzi l’Europa dovrebbe dialogare in modo più paritario, rafforzando il proprio peso.
Inoltre, non si può ignorare che il riarmo, se gestito con razionalità, può rappresentare anche un’opportunità economica. I settori legati alla difesa generano occupazione, ricerca, sviluppo tecnologico e possono contribuire alla crescita del PIL, anche se chiaramente questi effetti si vedranno nel medio periodo, non nell’immediato.
Il punto è che la difesa oggi non è più un’opzione ideologica, ma una necessità pragmatica. Resta fondamentale che tutto avvenga con controllo democratico e trasparenza.

Alessio S. 
Università degli studi di Palermo  
 
 
L’élite europea, nell’affrontare il tema del riarmo, si è mossa con una certa ingenuità, portando alla creazione di un generale clima di paura. Bruxelles non ha considerato il fatto che, senza una prospettiva unitaria di investimento, otto miliardi a debito sembrano soltanto una spesa dannosa, dettata da una reazione emotiva piuttosto che da una scelta ponderata. Sotto questa luce, non sembrano poi errate le argomentazioni dei contrari, per cui quei soldi andrebbero meglio reinvestiti in Welfare. Va poi detto che l’Europa attuale difetta di strumenti politici e giuridici davvero efficaci per assicurarsi il corretto utilizzo dei fondi da parte dei singoli Stati. È con questi caveat che dobbiamo muoverci verso una soluzione davvero europea, con una strategia sovranazionale di asset fondamentali e know-how condivisi. Il motivo è evidente: il clientelismo verso gli Stati Uniti rivela, ogni giorno di più, le nostre intime fragilità. Non possiamo più permetterci di appaltare la nostra difesa a una nazione che ci è ostile come mai prima d’ora. Il riarmo deve dunque inserirsi in quest’ottica di riacquisto di una piena sovranità, essendone la difesa autonoma il pilastro fondamentale.
Attenzione: la paura non è un sentimento unicamente dannoso. Essa è sintomo di dibattito, vitale tumulto d’idee democratico. In paesi autoritari come Russia e Iran il riarmo è accolto con unanime gioia. Ma soprattutto, risulta assai utile nell’indicarci dove, come europei, abbiamo fallito: prima di tutto nel creare un’unità politica e un’identità culturale europea; in secondo luogo, nell’esserci lasciati andare a un’indolenza morale verlainiana, un morbo che ci ha costretti a un letto di vanagloria valoriale, a comporre acrostici mentre a pochi metri da noi passano i “grandi barbari bianchi”. Ci siamo dimenticati che la libertà e la democrazia non son valori stabili e definitivi, ma per cui è necessario combattere ogni giorno.

Davide Carraro
facoltà di giurisprudenza dell'università di Padova
 
 
"Non condivido le voci che corrono nella mia università, tra colleghi di rappresentanza studentesca e docenti, relativamente alla fantomatica “corsa al riarmo”.
Da studente universitario che non ha vissuto gli anni della Guerra Fredda, quanto non comprendo è la negazione di ciò che uno scudo difensivo americano abbia garantito al nostro Continente –soprattutto nella zona occidentale della “cortina di ferro”.
Quale Europa - sia come continente sia come Comunità Europea di Stati che hanno trovato interesse comune nella prosperità - ci saremmo trovati noi che studiamo nelle università e che possiamo frequentare semestri all’estero grazie al progetto “Erasmus” nelle università di stati comunitari ed extra, senza una deterrenza garantita da una potenza estera dall’altra parte dell’oceano? Perché dovremmo soccombere, in nome di una logica antimilitarista (sulla carta, non nei fatti), dinnanzi ad un pericolo autoritario reale e tangibile che già mostra i propri effetti altrove? Quanto intravedo è una distorta visione della dinamica internazionale, e come controparte si assiste a discorsi dal sapore populista sulla leva obbligatoria, mai citata e voluta da nessuno, o con l’educare alla pace, certamente nobile ma non fattibile al di fuori del perimetro democratico.
Il piano di difesa europeo è quanto possa garantire una sfera di indipendenza e sovranità sul nostro continente.
Amministrare un esercito, o una federazione di eserciti pronti in ambito militare, ci avvicina al modello americano di federazione – impossibile, tuttavia, da replicare sul vecchio Continente nel breve periodo. Sebbene ritenga fondamentale il rispetto della sovranità nazionale sul proprio territorio ed esercito, non nego che l’appartenere ad un’unione di stati richieda visioni più lungimiranti che proteggano tutti i Paesi, e che dunque parte dell’interesse sia la sicurezza comune e la difesa dei confini anche percepiti come distanti e lontani.
La prima indipendenza si crea nei fatti, poi nelle menti.

Simone Canevarolo
corso di Ingegneria Energetica presso il Politecnico di Torino
 
 
Luca Lovisolo, ricercatore in diritto e relazioni internazionali, avvertiva delle mire espansionistiche russe già nel 2015, ben dieci anni fa. I concetti cardine della guerra ibrida e la strategia che ha imposto Putin come mediatore indispensabile nella regione MENA (Middle East North Africa) sono stati accuratamente analizzati da Andrea Beccaro nel saggio “Il concetto di Gray – zone”, edito nel novembre 2020. Le tecniche di inquinamento del dibattito pubblico sui social attraverso bot e diffusione di fake – news e di come queste abbiano comportato esiti politici di portata epocale (la Brexit su tutti) sono il cuore delle riflessioni di Marta Ottaviani in “Brigate Russe” (gennaio 2022). Tolte alcune grida solitarie, l’Occidente ha fatto sfoggio di un’ agghiacciante imperturbabilità di fronte al processo di costruzione imperialistica eurasiatica in corso ormai da un decennio.
L’allarme militare in senso stretto sarebbe dovuto scattare con l’invasione russa della Georgia nel 2008; non solo perché l’argomento chiave dell’imperialismo di Mosca, riassumibile in “Dove si parla russo è Russia”, ha precedenti storici alquanto infelici, ma anche perché il conflitto evidenziò l’inerzia delle democrazie occidentali di fronte a un’aggressione armata ingiustificata e finalizzata di fatto allo spostamento dei confini nazionali (Frattini fu un caso di scuola).
La Georgia, la Crimea, l’Ucraina; l’aggressione a mezzo proxy (Hamas, Hezbollah, Houthi) contro Israele nel tentativo di distruggerlo per realizzare la Palestina “dal fiume al mare”, senza contare il supporto militare nell’aggressione contro Kyiv; il tentativo costante di manipolare l’opinione pubblica con infiltrazioni politiche e ondate di attacchi social; l’intervento armato accompagnato da una martellante campagna di falsificazione della realtà sul campo per cercare di mettere l’aggredito e chi lo sostiene di fronte a un “fatto compiuto”. Nessun riarmo spaventa come i quindici anni che abbiamo impiegato per svegliarci.

Nicola Marvulli
laureando in Composizione (conservatorio L. D’Annunzio di Pescara)
 
 
Una certa parte della politica e dell’opinione pubblica sostiene strenuamente che non ci sia necessità di aumentare le spese per la difesa. In sintesi, spenderemmo già abbastanza per i nostri eserciti e non ci sarebbero ragioni per considerare quello che stiamo vivendo come un periodo di cambiamento, in cui solo considerare la possibilità di un attacco all’Europa - a detta di qualcuno - significherebbe avallare l’adozione di un piano di riarmo europeo che avrebbe, come fine ultimo, quello di risollevare le sorti dell’economia tedesca tramite aiuti di stato camuffati.
Sorvolando per un momento sul merito della questione, a me sembra che pochi, tra coloro che esprimono questo ordine di idee, sia mosso da una valutazione della realtà. Ho come la sensazione che si tratti, piuttosto, di un riflesso pavloviano, attivato ogniqualvolta ritorni il tema della difesa. Una filastrocca da recitare affinché non si dica che a noi piacciono le bombe, che noi vogliamo l’Italia in guerra.  
È un fenomeno che potrebbe anche far sorridere, dato che si parla della nostra difesa e non quella di qualcun altro, come pur talvolta potrebbe sembrare ascoltando certi dibattiti. Insomma, si tratta di un tema che quantomeno richiederebbe una valutazione seria, basata su fatti, considerato che la tenuta dei nostri sistemi di welfare, spesso principale ragione invocata per contrastare il riarmo, dipende proprio da quella stessa valutazione.
Per orientare il dibattito verso orizzonti più costruttivi, sarebbe auspicabile chiedersi se ci siano elementi di fatto che giustifichino una decisione dell’Europa di riarmarsi. Possiamo permetterci di sottovalutare per la terza volta le dichiarazioni di Putin, dopo aver ignorato le sue intenzioni di invadere prima la Crimea e poi l’Ucraina? O ciò che dicono le strutture di intelligence dei Paesi dell’est-Europa, quando ci avvisano che Putin si prepara ad un conflitto più ampio? Possiamo confidare sulla difesa americana, guidata dal più che mai volubile Donald Trump, in un momento di crescente tensione internazionale? Io credo di no. E, dato che in Italia, in altri momenti, sono stati trovati senza affanno miliardi di euro per finanziare i più diversi sprechi di danaro pubblico, sarebbe difficile perdonarsi, un domani, un simile errore di valutazione, laddove lo scenario di una guerra in Europa dovesse malauguratamente avverarsi.

Matteo Vuolo
Giurisprudenza alla Federico II di Napoli
 
 
Il contesto geopolitico a cui siamo interessati, fra tensioni diplomatiche e rischi imminenti di conflitti su larga scala, non permette all’Unione Europea di accontentarsi di un ruolo subordinato nello scacchiere globale. È importante precisare come il riarmo europeo non debba apparire come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali, bensì come strumento di tutela della sovranità europea; questo è possibile, esclusivamente, aderendo ad una visione europeista che permetta di valorizzare la forza comune europea. Analizzando l’evolversi del conflitto mediorientale, fra Israele ed il regime di Teheran, possiamo constatare come l’egemonia militare statunitense dipenda proprio dagli investimenti su questo settore e non, dunque, da politiche interne “pacifinte” ed autodistruttive. Il clima di inaffidabilità militare ed economica portato con sé dall’ideologia MAGA, dovrebbe far riflettere la disunita Unione Europea sulla necessità reale di un’intesa comune sull’aumento delle spese militari, come strumento di prevenzione futura. L’opinione pubblica europea, sicuramente influenzata dai millenni di guerra svolta sul territorio, predica la pace invocando lo stop al riarmo ma non si accorge di un ruolo sempre più subordinato dell’Unione a fronte dell’espansione economica e militare delle Autocrazie globali. Il riarmo europeo non deve apparire come un atto di guerra, ma come condizione per la pace; perseguire nella politica di delega della sicurezza comunitaria ad agenti esterni significa, necessariamente, accettare la marginalità. L’Europa non deve temere il riarmo, bensì la propria irrilevanza nel quadro geopolitico internazionale, sempre più dominato da autocrazie o democrature. 

Edoardo Chiaverini
Scienze Politiche all’Università di Pisa
   
  
La diffidenza verso il riarmo europeo e l’aumento delle spese Nato è trasversale, ma trova il suo nucleo più ostinato nella sinistra radicale. Conte e Schlein mascherano sotto il vessillo del pacifismo e della difesa del welfare uno schema ideologico antico: quello di una sinistra postcomunista, orfana di identità dopo la caduta dell’URSS, incapace di elaborare una cultura politica al passo con le sfide attuali.

Quella stessa sinistra che un tempo giustificava l’imperialismo sovietico e l’industria militare di Mosca, oggi si reinventa "pacifista", ma solo contro l’Occidente. Il no al sostegno militare all’Ucraina o al rafforzamento NATO non nasce da amore per la pace, ma da una riflessa e spesso acritica ostilità verso Stati Uniti e alleati. Un’operazione di peacewashing che ignora volutamente la differenza tra chi aggredisce e chi si difende.

La guerra, per questi ambienti, è sempre e solo colpa dell’Occidente. Una visione nutrita negli anni da settori accademici anglosassoni, diventata oggi mainstream. In questo schema, ogni errore della politica estera americana viene ingigantito, mentre le responsabilità di autocrazie come Russia e Cina vengono minimizzate o assenti.

Così il doppio standard diventa regola: si condannano le democrazie per incoerenze, ma si assolvono i regimi perché “reagiscono” all’imperialismo. Il rischio è che questa autocritica degeneri in paralisi etica, lasciandoci incapaci di difendere i valori liberali che fondano l’Europa. L’Occidente non può permettersi di diventare una civiltà che si guarda allo specchio e, vedendo solo i propri difetti, dimentica di agire.
 
Filippo Vuocolo
studente di International Economics and Finance, Università Bocconi