
La Situa - dibattiti universitari
La destra e la sinistra dopo le amministrative
Abbiamo chiesto questa settimana agli studenti universitari di ragionare su quello che potrebbero significare i risultati delle ultime amministrative. Per la sinistra, ma soprattuto per la destra
Abbiamo chiesto questa settimana agli studenti universitari di ragionare su quello che potrebbero significare i risultati delle ultime amministrative. Per la sinistra, ma soprattuto per la destra. Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi
Non smette mai di fischiare il vento dell’ottimismo del centrosinistra, ogni volta che vince un centro città o, più raramente di questi tempi, una regione. "Uniti si vince", "Meloni si preoccupi": questi i virgolettati della segretaria del secondo partito nazionale, rilanciati da la Repubblica commentando gli ultimi fatti politici del Paese. Sta volta tocca a Silvia Salis e Alessandro Barattoni, che hanno strappato due città al centrodestra: Genova, storicamente “rossa” ma governata da Bucci per due mandati, e Ravenna, dove la giunta comunale mantiene la stessa compagine.
Una fonte di preoccupazione per il centrodestra aver perso due città?
La mia impressione è che si tratti di dinamiche provinciali, nulla di più. L’Italia, da sempre, è caratterizzata da una notevole varietà di esperienze locali, differenti da comune a comune. Con dell’amarcord primo-repubblicano, persino da circolo a circolo dello stesso partito. Questa quantità di sfumature, che ci portiamo appresso, si ripercuote ovviamente, anche sul voto: sebbene il centrodestra sieda sui banchi del governo nazionale, ciò non impedisce al centrosinistra e ai suoi rappresentanti sul territorio di ottenere gloria e vittorie a livello locale.
I cittadini hanno potuto constatare e valutare direttamente il livello di governo più vicino a loro, quello su cui l’elettore esercita un controllo di campo, direi quasi visivo: mandando a casa la destra a Genova e confermando il PD a Ravenna. Meno ideologia e più fatti. Una dinamica spesso indipendente dal colore politico di Palazzo Chigi. Robert Dahl, che sapeva come funziona la democrazia, aveva ragione: nella sua poliarchia sosteneva che è proprio nei livelli locali che si esercita il massimo controllo democratico da parte dei cittadini. Mentre invece, alle elezioni politiche, si tende a votare meno in base a ciò che osserva nel proprio quartiere o nella propria città e più sulla base di percezioni generali: i titoli dei telegiornali, i battibecchi nei talk show, la fiducia nei leader, la voglia di cambiare o l’attrazione del carisma. Sono voti guidati da considerazioni astratte, più legati al clima d’opinione che alla raccolta differenziata. Per questo motivo, in questo caso, le elezioni locali di Genova e Ravenna sono momenti autonomi, in cui contano la competenza, la credibilità e persino la personalità pubblica del candidato, più che le bandierine ideologiche.
Davide Castelli
università degli studi di Milano
Le elezioni amministrative vengono spesso trascurate nella lettura della cronaca politica nazionale, poiché si pensa che le dinamiche locali influenzino le elettrici e gli elettori spingendoli a votare per un candidato piuttosto che per un altro, al di là del partito politico di riferimento. Tuttavia, basterebbe recuperare sul portale Eligendo i risultati delle elezioni amministrative degli ultimi anni per vedere come siano del tutto coerenti con quelli delle regionali e, addirittura, delle politiche. Genova rappresenta l’esempio perfetto che avvalora questa tesi: nonostante la risicata vittoria del centrodestra alle elezioni regionali liguri dello scorso anno, vinte proprio dall’ex sindaco genovese Marco Bucci, già allora era evidente un trend discordante nel capoluogo di regione, che aveva premiato il candidato democratico Andrea Orlando. A distanza di un anno, si è semplicemente consolidato un orientamento di voto già chiaro mesi fa. Questa sconfitta non è soltanto un episodio isolato, ma un segnale chiaro e inequivocabile: la coalizione di governo sta perdendo il contatto con una parte sempre più ampia del Paese. Le recenti elezioni amministrative hanno confermato una tendenza che va oltre Genova: il centrodestra ha registrato pesanti arretramenti anche a Ravenna e appare in forte difficoltà in città come Matera e Taranto, dove si andrà al ballottaggio ma con un netto svantaggio rispetto ai candidati del centrosinistra. L’ascesa del cosiddetto “campo largo” è ormai un dato strutturale, capace di intercettare in modo più credibile l’insoddisfazione e le domande di cambiamento che emergono dalla società. Un segnale, in questo senso, arriva anche da Capaccio Paestum: nonostante l’arresto del precedente sindaco, espressione del centrosinistra, la coalizione è riuscita a mantenere il comune, a testimonianza di un radicamento che va oltre i singoli episodi. Per Giorgia Meloni e i suoi alleati si apre dunque una fase complessa, in cui non sarà più possibile ignorare i segnali che arrivano dai territori. Il consenso non è più un fiume in piena, ma comincia a frammentarsi in mille rivoli. E se è vero che le elezioni locali non decidono i governi, è altrettanto vero che spesso ne anticipano le fragilità
Gerardo Jr Maccauro
studente di Lettere Moderne alla Sapienza
Le recenti sconfitte del centrodestra e dell’area conservatrice rappresentano un segnale importante. Non si tratta solo della perdita di due città strategiche per la loro posizione geografica, ma del significato politico profondo che emerge da queste elezioni: una vittoria netta della sinistra, incarnata da una donna, madre, cristiana, appartenente a una famiglia tradizionale. Questo dimostra che tali valori non sono prerogativa esclusiva della destra, ma possono trovare espressione anche in un contesto progressista e inclusivo, vicino ai ceti popolari.
La coalizione di governo continua a mantenere una percentuale fissa nei sondaggi, sostenuta più da un’adesione affettiva alla figura della premier che da una reale proposta ideologica. Quest’ultima appare sempre più debole, spesso fondata su un’ignoranza dilagante che si riflette nella gestione di molti organi istituzionali.
Pensare che gli italiani siano marionette da manovrare è un errore fatale. Prima o poi, i fili si spezzano e cresce la consapevolezza che la realtà potrebbe essere diversa da quella raccontata. In quel momento, molti spostano il proprio baricentro politico, cercando alternative credibili.
Questo rappresenta un campanello d’allarme per il governo in vista delle prossime elezioni amministrative e regionali, che saranno vere prove di forza, sia per l’esecutivo che per la maggioranza parlamentare. La sfida sarà ancora più intensa, considerando che l’opposizione sembra avanzare compatta.
Il cosiddetto “campo largo”, quando agisce in modo coeso, ha dimostrato di funzionare. Ora la speranza degli elettori è che tale unità possa essere mantenuta nel tempo, evitando personalismi e rivalità interne. Se così non fosse, il centrodestra potrebbe facilmente approfittarne e vincere nuovamente la partita senza troppi sforzi.
Alessia Lapietra
corso di Laurea in Giurisprudenza, Università Bocconi
Di fronte ai risultati delle ultime amministrative è necessario evitare letture affrettate. Se da un lato questi insuccessi locali possono sembrare il sintomo di una crisi più ampia, dall’altro è facile interpretarli come episodi circoscritti, legati più al contesto territoriale che a dinamiche nazionali. Capiamoci qualcosa. Ravenna, storicamente orientata verso il centrosinistra, non rappresenta una roccaforte contendibile con facilità. Il risultato negativo qui è in linea con un trend consolidato. Genova, invece, è una sconfitta più bruciante, poiché si trattava di una città governata dal centrodestra e considerata un laboratorio del “modello Toti”. Il crollo del consenso potrebbe essere legato più alla crisi personale del governatore ligure e alle inchieste giudiziarie locali che a un calo strutturale della destra a livello nazionale. Se poi uniamo questi ingredienti al successo riscosso dalla candidata del campo largo - oggi Sindaca - il risultato non sorprende. A livello simbolico, però, queste sconfitte possono pesare. Indicano che la vittoria elettorale del 2022 non si traduce automaticamente in una rete di governo locale capillare. Inoltre, mostrano come la sinistra – pur divisa e spesso priva di visione unitaria – riesca a mobilitarsi con successo sul piano amministrativo, soprattutto quando riesce a proporre candidature civiche credibili e trasversali. Non siamo di fronte a un segnale di collasso, ma a un campanello d’allarme: il centrodestra, per restare competitivo, dovrà curare di più la qualità delle candidature, l’ascolto dei territori e il radicamento locale. Le amministrative non sono solo test secondari: sono laboratori di consenso e termometri della distanza tra cittadini e politica. Ignorarli sarebbe un errore strategico.
Luigi Rossi
laureando in Scienze Politiche all'università di Firenze
I recenti esiti delle elezioni comunali a Genova e Ravenna non configurano, a mio parere, un segnale d’allarme per il centrodestra sul piano nazionale. La distinzione tra competizioni amministrative e politiche rimane decisiva: nel primo caso, il voto è fortemente influenzato dal profilo del candidato e da dinamiche territoriali; nel secondo, prevale l’adesione a schieramenti e partitii su scala nazionale. Ciò non significa, tuttavia, che la coalizione di centrodestra possa permettersi di sottovalutare alcuni errori strategici emersi in queste consultazioni popolari. A Genova, ad esempio, la scelta di puntare su Piciocchi, già vice di Bucci, ha ignorato la chiara disaffezione dell’elettorato manifestata pochi mesi prima alle regionali. Optare per una figura legata a un’amministrazione percepita come sfiduciata ha indebolito la proposta del Cdx, rivelando una certa miopia politica, oppure una rassegnazione a un esito sfavorevole.
Alessio Nisi
studente liceale
Se il Cdx deve fare autocritica, anche il Csx non può considerare questi risultati una vittoria netta. A Genova, nonostante l’affluenza bassa e una candidata giovane e carismatica come Silvia Salis, la coalizione di Csx ha ottenuto un successo tutt’altro che plebiscitario. Soprattutto, questo successo è stato reso possibile solo grazie all'appoggio di forze di centro che, a livello nazionale, risultano incompatibili con l'alleanza tra PD, M5S e Avs. In città storicamente legate alla sinistra, come Genova e Ravenna, l’incapacità di conquistare un consenso ampio solleva interrogativi sulla coesione del campo progressista: se persino in roccaforti “rosse” il centrosinistra arranca, quale progetto potrà mai unirlo su scala nazionale?
I più recenti sondaggi nazionali, del resto, confermano come il centrodestra mantenga un netto vantaggio sull'opposizione, con margini che arrivano spesso ai dieci punti percentuali. Questo dato dovrebbe indurre alla prudenza tanto chi volesse vedere nelle amministrative un segnale di crisi del governo, quanto chi intendesse celebrarle come una rinascita del centrosinistra. La realtà è che queste elezioni hanno soprattutto dimostrato come la credibilità politica passi attraverso la capacità di ascoltare i territori. Se il centrodestra deve lavorare per correggere alcuni errori di approccio, il centrosinistra non può certo accontentarsi di vittorie ottenute per il rotto della cuffia e grazie ad alleanze occasionali. La vera sfida, per entrambi gli schieramenti, rimane quella di tradurre le lezioni del voto locale in una visione nazionale coerente e convincente. In questo senso, i risultati di Genova e Ravenna non segnano un cambiamento di scenario, ma offrono piuttosto spunti di riflessione per chi voglia comprendere le complesse dinamiche della politica italiana.
Edoardo Colombo
università degli Studi di Trento - Facoltà di Matematica