
In ricordo di Piero Buscaroli
Oggi vi racconto di un genio, un vero ribelle, uno che tanto lascia – con la sua opera – alla cultura, al vivere civile e alla memoria di una parola complicata qual è Italia e che però nessuno racconterà perché la damnatio – si definiva “superstite della Repubblica sociale in territorio nemico” – lo costringe, se non all’oblio, al silenzio.
E’ morto ieri a Bologna, nella sua bella casa colma di storia e di testimonianze d’arte, Piero Buscaroli, storico della musica, scrittore purissimo, erede – con Indro Montanelli, Giovanni Ansaldo e Henry Furst – di Leo Longanesi e Giuseppe Prezzolini. Non ci saranno, per lui, le paginate nei grandi giornali; non gli speciali della televisione; non le commemorazioni alla Camera dei Deputati o al Senato. Autore di pagine monumentali sulla storia della musica, quali il suo Bach, o il Beethoven, studiati adesso in tutto il mondo, Buscaroli fu anche testimone di libertà e grandezza intellettuale sul settimanale longanesiano Il Borghese, direttore a Napoli del quotidiano Roma, editorialista nelle testate corsare, fin tanto che i giornali riuscivano a reggerne la potenza disobbediente essendo lui – da sempre – dalla parte dei vinti, titolo questo di un suo magnifico libro. Incappato nel rischio di aver comminata un’onorificenza dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, Buscaroli – di proprio pugno – scrisse sulla lettera del Quirinale che lo informava di questo rischio, respingendola al mittente, queste parole: “Io non desidero e non voglio alcuna onorificenza da questa repubblica. Mi parrebbe uno scherzo di cattiva specie. Fermi la macchina, La prego e non se n’abbia a male. Detesto questa repubblica. Grazie”.


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