IL NOSTRO VIRUS QUOTIDIANO
Sebbene questa storia del coronavirus sia iniziata tempo fa, io, colpevolmente, ne ho avuto concreto sentore solo sabato 22 febbraio. Per non farvi perdere tempo a indovinare il tema di questo articolo, vi dico subito che sono diventato una persona spregevole, che chiunque può mettere all'indice e disprezzare, e giustamente. Tanto contraddittoria. Cioè, o eccessivamente razionale o stupidamente irrazionale. Colpevole dunque di allarmismo, procurato panico, o al contrario placidamente distante da tutto questo bailamme, uno che sbadigliava all'ennesima dichiarazione di Burioni, e tuttavia tentato di apparire in diretta Facebook per parlare del coronavirus, avendo ai tempi di agraria fatto un modesto esame di virologia (26/30 mi pare), quindi nemmeno il classico virologo della domenica stigmatizzato dal prof di cui sopra, ma peggio. Appunto non c'è limite al peggio. E dài, vediamo il trailer della mia contraddizione nella mia peggior settimana del mese. Ho incontrato due persone per strada, mamma e figlia con mascherina, e ho fatto loro “buu!”, come un cretino. Si sono spaventate, e subito dopo ho rovistato nei cassetti perché mi sono detto: sono entrato in parecchi laboratori e ci dovrebbe essere… ah eccola, una mascherina vera, con 10 filtri. Non quelle inutili che distribuiscono. E per restare in topic #seiilpeggio, in questa settimana ho detto: i soldi non sono tutto, prima la salute, e poi dopo che mi hanno annullato tre conferenze, discretamente pagate, ho maledetto l'indicibile, pure certi virologi della domenica e no, che allarmano tutti.
Dunque, se c'è un'utilità in questo racconto non si individua nel tema: come combattere razionalmente il coronavirus. No, tutt'altro. Questo racconto se avrà una qualche utilità, appunto, servirà agli scienziati della comunicazione (cioè quelli che hanno studiato scienza della comunicazione, perché sì, senza fare gli spiritosi, ci sono lauree in Scienza della comunicazione, per esempio Maurizio Costanzo nell'anno accademico 2008-2009 ha insegnato alla Sapienza Teoria e applicazioni del linguaggio televisivo e ha condotto un Laboratorio sui formati e i generi televisivi ), servirà ai direttori di agenzie di comunicazione, piccole e grandi, ai media (ma non credo abbiamo tempo per leggere un long format del Foglio, di lunedì poi), agli psicologi cognitivi… Insomma, consideratemi un prisma ordinario, comune e medio, che prende luce, la scompone e la riflette al peggio possibile, perché sì, di questo si tratta: da sabato 22 febbraio sono un caso patologico. Questo testo, dunque, è per la scienza. Spero che mi studino a dovere e mi mettano, dopo un tampone intellettuale, in quarantena, per eccesso di contraddizioni, stereotipi di genere (stavo quasi per scrivere che le donne sono più preoccupate degli uomini, non l'ho fatto, ma l'ho pensato, pensarlo è già peccato secondo i puristi e comunque privatamente mi è scappato). Anche i criminologi potranno trovare utile il mio prisma, in quanto più volte, estenuato da talk-show infiniti o semplicemente perché non riuscivo a trovare un articolo sul pareggio tra Napoli e Barcellona, relegato in fondo, in quei box ultimi e poco visitati, ho sentito una voce interiore che mi diceva: fai a botte con questo o quel giornalista, sfidalo a duello all'alba, come ai vecchi tempi, perché non si può parlare di questa cosa in questo modo, salvo poi parlarne anch'io, in un modo ben peggiore. Capite che guaio?
Tra l'altro ho cominciato anche a leggere con seria determinazione tutti i testi dei pessimisti radicali, a partire da Peter Zapffe, L'ultimo messia, pubblicato nel 1930, a Thomas Ligotti, Nato nella paura, fino a Nicholas P. Money, La scimmia egoista. Perché l'essere umano deve estinguersi. E sì, in questa settimana mi sono chiesto, con la dovuta serietà, che ci facciamo qui, e cosa ci faremo fra vent'anni, 10 miliardi di persone ad accapigliarci per piccole e grandi questioni, con un apparato emotivo incapace di cogliere la complessità ecc. Quindi se è così per il coronavirus come possiamo farcela per altre e ben più letali questioni? Non è meglio lasciare con la dovuta grazia questo pianeta e tornare nel limbo dell'inorganico? Della non esistenza?
Comunque, colpevolmente, sono arrivato a sabato 22 febbraio, senza ansie e con sofferenze minime, finché sabato sera, in una pizzeria, con amici, alle ore 20, ho dato un'occhiata al tg di Mentana. Le immagini scorrevano senza audio e va bene, sarà la concitazione, gli inviati che apparivano e scomparivano, quel misto tra luce e buio, flash e contro flash, ma mentre mangiavo la pizza ho pensato e ho detto anche: ma che è? C'è stato un attentato? Ho avuto un fenomenale flash back e sono tornato indietro, al pomeriggio dell'11 settembre del 2001. Un attentato? ho chiesto. E poi, incredibile a dirsi, e ripeto, scorrevano le immagine senza l'audio, ho avuto un'allucinazione sonora. Era la prima volta che mi capitava: ho sentito la voce allarmata di Mentana. Ma non poteva essere, tra l'altro la pizzeria era una pizzeria, appunto, rumorosa e caciarona, e tuttavia la mia allucinazione ha isolato il contesto meglio di un banco mixer e mi ha fatto sentire la voce di Mentana. Enrico Mentana mi parlava pur non parlandomi.


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