Mps e Banco Bpm, effetti collaterali di un risiko di “mercato”

Mariarosaria Marchesano

    Milano. Sette marzo 2020. Il mondo della finanza si è appuntato questa data in agenda per capire come andrà a finire una delle operazioni più dinamiche e inattese degli ultimi decenni: l'offerta “non concordata” di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca. Ieri l'amministratore delegato di Ubi, Victor Massiah, dopo il cda che ha nominato l'advisor “per valutare l'ops e le possibili alternative”, ha scritto una lettera ai dipendenti in cui è apparso piuttosto freddo. “E' presto per trarre considerazioni, ma è molto importante sottolineare come questa operazione rappresenti, per il momento, solo una proposta, che, prima di diventare progetto dovrà passare attraverso un complesso, e per nulla scontato, iter autorizzativo delle autorità di vigilanza e di approvazione da parte delle assemblee”, ha detto rinviando ogni ulteriore valutazione ai giorni successivi a quello in cui sarà depositato in Consob (il 7 marzo appunto) il prospetto informativo con tutti i dettagli dell'offerta. Solo allora il consiglio di amministrazione si esprimerà: dentro o fuori il grande polo del credito – focalizzato sulla gestione della ricchezza privata – ipotizzato dal ceo di Intesa, Carlo Messina, ma che, a quanto trapela, lascia perplessi alcuni soci storici del patto di sindacato di Ubi, che ha il suo nocciolo duro tra Bergamo e Brescia. Intanto, l'annuncio di Intesa sta gettando scompiglio sul tavolo di un risiko che qualcuno immaginava potesse svilupparsi secondo una logica non proprio di mercato. “Ha sorpreso tutti”, si è lasciata sfuggire Stefania Bariatti, presidente del Monte dei Paschi di Siena, la banca pubblica che, secondo rumors di mercato, contava proprio su Ubi, come uno dei potenziali investitori, per tornare privata. E adesso non Ubi è fuori gioco, ma lo sono, per il loro coinvolgimento nell'operazione, anche Unipol e Bper. E per quanto il ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri, ci abbia tenuto a far sapere di essere “molto fiducioso” sul futuro di Montepaschi, parole che hanno galvanizzato il titolo a Piazza Affari, che ieri ha guadagnato il 12 per cento, la posizione della banca senese potrebbe complicarsi in un contesto in cui le aggregazioni si fanno prediligendo una logica di redditività che taglia fuori la politica. Si vedrà se dopo il derisking e lo scorporo dei crediti deteriorati, su cui si attende il via libera dell'Unione europea, il Monte di stato troverà un acquirente, in Italia o anche all'estero, magari tra i gruppi francesi come Crédit Agricole e Bnp Parisbas che, a quanto si vocifera, stanno seguendo con interesse il gran movimento bancario sotto le Alpi. Diversi analisti sono convinti che è Banco Bpm ad avere le maggiori probabilità di essere coinvolto in una prossima operazione di fusione, anche crossborder, che, però, difficilmente passerà da Siena considerando che nell'azionariato della banca milanese sono presenti numerosi fondi d'investimento con una forte attenzione alle prospettive di redditività. La ex popolare da oltre un anno è sotto i riflettori perché ritenuta un potenziale soggetto “aggregatore”, anche se proprio ieri l'amministratore delegato, Giuseppe Castagna, ha ribadito che andrà avanti con un piano “stand alone”. Difficile, però, immaginare che l'istituto, che è reduce da un'importante fusione, ha ripulito i bilanci dai crediti deteriorati ed è tornato a distribuire dividendi ai soci, resti a guardare mentre l'alleanza tra Intesa e Ubi consolida un gigante con cui sarebbe difficile competere rimanendo in una dimensione regionale. Un motivo in più per pensare a rafforzarsi.

    Mariarosaria Marchesano