Leonardo Robotics Labs e Movelab, la “palestra dei robot” del Poli e la mobilità futura

    N on è Gort (il robot di “Ultimatum alla terra”, film di fantascienza del 1951, con un remake del 2008) quello sceso al civico 32 di piazza Leonardo da Vinci a Milano. Anche perché, contrariamente al suo bellicoso succedaneo, i robot fabbricati al Poli servono a migliorare la vita degli umani. Quello ideato dai ricercatori del Politecnico è il nuovo spazio dei Leonardo Robotics Labs e Movelab. Un'area di 500 metri quadri dello storico edificio Carlo Erba trasformato in una palestra laboratorio dove robot, sistemi di intelligenza artificiale e veicoli autonomi prendono forma sotto la supervisione di oltre un centinaio di ricercatori. “E' un sogno che si avvera”, spiega il prorettore Donatella Sciuto, ricordando che i lavori di ristrutturazione che hanno portato alla realizzazione di questo progetto risalgono al 2013. La nuova struttura riunisce quattro laboratori già esistenti: Airlab, dedicato a intelligenza artificiale e robotica; Merlin, specializzato in meccatronica, robotica industriale e controllo del moto; Nearlab, che sviluppa soluzioni hi-tech per la riabilitazione e l'assistenza ai pazienti disabili e fragili; Movelab, che fa ricerca nel campo dei veicoli intelligenti e della smart mobility. Nella palestra laboratorio si muovono robot in grado di dare un supporto concreto a chi soffre problemi di disabilità. Ma l'ultima generazione di queste macchine è in grado di interpretare anche i sentimenti umani. Se la frontiera più innovativa riguarda il segmento medicale, quella destinata a portare gli sconvolgimenti più straordinari si nasconde nel laboratorio mOve: automation and control for intelligent vehicles and smart mobility, l'ultima generazione dei veicoli a guida autonoma. “Chi studia la tecnologia della mobilità – spiega al Foglio il professor Sergio Savaresi, professore ordinario presso il dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico ma anche animatore del laboratorio mOve – sa esattamente dove andremo a finire nel giro di dieci, quindici o forse vent'anni. Avremo una mobilità elettrica condivisa, basata su veicoli autonomi, tendenzialmente piccoli. Grandi benefici dunque per il benessere – in senso lato – delle città. E' una rivoluzione perché porterà all'abbattimento del numero di auto, si parla di uno a dieci, sicurezza molti più alta, impatto ambientale molto più basso. E' però incerta la road map, perché le amministrazioni, soprattutto in Europa, stanno facendo piccoli passi, in qualche caso incerti, verso questa direzione. Solo la Cina ha in mente, in modo chiaro, il punto di arrivo e si sta muovendo velocemente. In Europa con ritmi diversi le amministrazioni stanno facendo piccoli passi”. La fotografia del professor Savaresi sembra riguardare realtà come Milano, e si fa più nitida: “Prevale la politica dei divieti ma manca una visione di lungo termine”. Ma la ricerca e la sperimentazione vanno avanti: ”Noi lavoriamo in collaborazione con le aziende, sullo sviluppo delle tecnologie dei veicoli elettrici, autonomi, piccoli e leggeri”. E i risultati si vedono nel nuovo laboratorio, dove piccoli e duttili veicoli robot vengono impiegati nell'attività agricola come nella consegna delle merci. “Il vero punto di svolta – chiarisce ancora Savaresi – sarà l'introduzione del veicolo autonomo. Perché è destinato a cambiare il modello di mobilità. L'industria sta facendo il possibile per accelerare il progresso tecnologico, ma ci sono di mezzo delle barriere legislative e culturali importanti. Il vero punto di svolta arriverà quando ci sarà l'abilitazione a far circolare il veicolo autonomo. Anche qui la Cina ha una road map molto veloce e aggressiva che faciliterà questo percorso. Europa e Stati Uniti sono estremamente timorosi, al primo incidente si ferma tutto”. Milano, con l'esperienza del Politecnico, può fare da apri pista in Europa, occorre però andare oltre la cultura dei divieti, destinati a fare cassa, facilitando tutti i processi di sperimentazione maturati nei laboratori del Poli. (Da. Bo.)