Diplomazia del contagio

Matteo Matzuzzi

    Roma. Dove non poterono decenni di negoziati sotterranei, ha potuto il coronavirus. E' stata l'epidemia che ha messo in ginocchio la provincia di Hubei ad avvicinare come non era accaduto prima la Santa Sede a Pechino. Se nel settembre del 2018 il Politburo aveva dato poco (per non dire nullo) risalto all'Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi – primo passo del disgelo atteso dagli anni Quaranta del secolo scorso – stavolta il governo cinese non ha avuto alcuna remora a dare il via libera alla diffusione della fotografia in cui si vede il ministro degli Esteri Wang Yi stringere la mano al segretario per i Rapporti con gli stati vaticano, mons. Paul Richard Gallagher. Incontro avvenuto a Monaco, a margine della Conferenza sulla sicurezza. Il comunicato diffuso venerdì sera ha una portata storica in quanto rivela che ora è la Repubblica popolare a gradire la vicinanza della Santa Sede. Qualche osservatore ha subito ricordato la diplomazia del ping pong che agli albori degli anni Settanta favorì il disgelo tra gli Stati Uniti e la Cina, con la visita di Richard Nixon a Pechino l'anno successivo. Stavolta al posto della pallina da gioco c'è una tragedia, il virus che ha già mietuto migliaia di morti nel paese asiatico. Non è passato inosservato il fatto che mentre mezzo mondo chiudeva porti e aeroporti ai mezzi di trasporto provenienti dalla Cina, dal Vaticano partivano settantamila mascherine con impresso lo stemma papale. E se da più parti si avanzavano dubbi sulle misure di precauzione adottate da Pechino, con il sospetto assai diffuso che Xi Jinping da tempo sapesse quel che stava accadendo a Wuhan e abbia deciso di tacere, la solidarietà totale giunta da Roma ha colpito il cuore del potere cinese.

    Il comunicato non è parco di indizi su quel che si sono detti Wang Yi e Gallagher, facendo anche intendere quale sarà il terreno per gli approfondimenti diplomatici del caso. Intanto si chiarisce che c'è “la volontà di proseguire il dialogo istituzionale a livello bilaterale per favorire la vita della chiesa cattolica e il bene del popolo cinese”, quindi – ed è quel che conta – “si è auspicata maggiore cooperazione internazionale al fine di promuovere la convivenza civile e la pace nel mondo e si sono scambiate considerazioni sul dialogo interculturale e i diritti umani”. Mettere nero su bianco l'auspicio di una maggiore cooperazione internazionale e parlare di “dialogo” significa che un passo ulteriore, e si vedrà quanto decisivo, è stato fatto verso l'obiettivo finale, che è quello di stabilire normali relazioni diplomatiche. La prospettiva, benché non vedrà risultati a breve termine, è concreta, la Santa Sede questo vuole anche a costo di cedere qualcosa – o parecchio, a seconda dei punti di vista – sul terreno della libertà religiosa in quel paese. La situazione resta complessa, come dimostra la prolungata vacanza della sede episcopale di Hong Kong, senza vescovo dal 3 gennaio di un anno fa, giorno della morte di mons. Michael Yeung Ming-cheung. La scelta del successore, come prevedibile, è delicata: tutti i candidati presentano dei pro e dei contro. C'è chi è considerato troppo ostile ai negoziati con Pechino (è la linea del cardinale Joseph Zen, ad esempio) e chi, viceversa, sembra troppo accomodante nei confronti del regime. Una maggiore intesa con Xi Jinping potrebbe rendere più semplice la scelta per una carica così strategica.

    Matteo Matzuzzi

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.