Responsabilità sociale, obiettivo delle imprese del XXI secolo

    La presenza e l'impegno di Intesa Sanpaolo nell'ambito sociale dimostrano la piena fedeltà e coerenza della banca attuale con quei principi e valori che hanno sempre contraddistinto gli istituti confluiti nel Gruppo e che, possiamo dire, ne definiscono il dna.

    Questo convegno è stato un'importante e non formale occasione per riflettere pubblicamente sull'identità e sulla missione della banca. Intesa Sanpaolo, oltre a confermare il proprio primato sul piano dell'efficienza, della solidità e della redditività, nonché una funzione insostituibile nell'economia reale del nostro Paese a sostegno delle famiglie e delle imprese, si sta imponendo sempre più, in Italia e nel mondo, come modello di riferimento in termini di responsabilità sociale. Un risultato raggiunto grazie a interventi nei molteplici settori di cui si è parlato questa mattina. Consentitemi solo di ricordare che a Torino è stato presentato un progetto che prevede la trasformazione della prestigiosa sede della banca in piazza San Carlo nel quarto museo delle Gallerie d'Italia: il polo espositivo che vede attive da tempo le sedi di Milano, Napoli e Vicenza, e che ha convertito luoghi di lavoro della banca in centri di fruizione e produzione culturale. Centri che sono ormai riconosciuti a livello internazionale come un elemento importante dell'offerta culturale italiana.

    Abbiamo sentito Rob Kapito, il Presidente di Black Rock, uno dei principali azionisti di Intesa Sanpaolo, sostenere con convinzione la necessità di affiancare al profitto per gli azionisti la creazione di valore per tutti gli stakeholder e per la società nel suo complesso. Egli ha riconosciuto che l'impegno sociale di Intesa Sanpaolo è un esempio da additare all'intero sistema. Tra l'altro, Intesa Sanpaolo è stata inclusa per il nono anno consecutivo – unica banca italiana – negli indici finanziari Dow Jones che riuniscono i gruppi più attivi al mondo in termini di sostenibilità economica, sociale e ambientale.

    La novità degli ultimi tempi consiste nel fatto che un modello di impresa come quello adottato da Intesa Sanpaolo è oggi presentato in autorevoli ambienti americani come un obiettivo da perseguire sul piano globale. L'importanza cruciale degli stakeholder e della comunità per il successo di un'impresa è finalmente affermata anche da una grande associazione della Corporate America.

    Confesso di essere stato perfino sorpreso nel leggere la dichiarazione di principi della Round Table americana, sottoscritta da oltre 180 grandi imprese, nella quale ho trovato parole e affermazioni che riecheggiano alla lettera ciò che noi sostenevamo alcuni decenni fa, ossia all'origine della lunga avventura che ha portato alla creazione del nostro Gruppo bancario.

    Sono evidentemente lieto che in tutto il mondo occidentale oggi si dica che la responsabilità sociale deve affiancare a pieno titolo il profitto tra gli obiettivi irrinunciabili di un'impresa e che nel XXI secolo l'obiettivo delle imprese, soprattutto quelle finanziarie, dovrà essere quello di generare valore di lungo termine. Larry Finck chiude la sua lettera del 2020 agli investitori con un paragrafo che si intitola: “un capitalismo più responsabile e trasparente”. Parole importanti, che condivido appieno, ma che richiedono coerenza di comportamenti a tutti i livelli e da parte di tutti gli stakeholder, privati o pubblici che siano. Le forze avverse sono numerose e agguerrite.

    Abbiamo insieme celebrato un evento positivo, che ci lascia convinti che la sostenibilità e l'inclusione sono scelte assimilate e che si prefiggono risultati realmente conseguibili. Credo peraltro mio dovere – dato il ruolo che mi porta qui oggi, ma soprattutto l'esperienza che ho maturato – focalizzare l'attenzione, nell'ambito di una riflessione più ampia, su alcuni aspetti che non vanno sottovalutati, ammonendo che la crisi del 2008 è frutto di una tendenza che sarebbe un grave errore ritenere definitivamente superata. La nuova concezione di impresa – e in particolare di impresa bancaria – finalmente conquistata potrebbe rivelarsi effimera.

    Il fatto è che all'avvio della globalizzazione si era accreditata l'idea che la liberalizzazione, cioè l'apertura incondizionata dei mercati, avrebbe favorito la diffusione della democrazia, mentre oggi dobbiamo prendere atto del contrario: la libertà assoluta di mercato non tutela affatto i Paesi e i sistemi democratici. Osservando ad esempio la rivoluzione digitale vorticosamente in corso e le sue conseguenze, è fondato temere che dall'assenza di adeguate regole di mercato risultino agevolati gli Stati totalitari. Questo è ancor più evidente se si guarda alla relazione tra l'Europa e le altre parti del mondo. Rischia infatti di crearsi uno squilibrio tra la crescente e quasi oppressiva regolamentazione dei mercati in cui opera l'Europa e la deregulation in atto in altre parti del mondo, con la nascita di monopoli globali che rischiano di emarginare il nostro sistema economico.

    Siamo tutti testimoni delle profonde spaccature che si sono create nelle società del mondo occidentale di cui facciamo parte: malcontento, ansia e rabbia emergono in forme anche violente come non accadeva da decenni, lacerando il tessuto sociale, la coesione alla base di ogni convivenza civile, così come l'abbiamo conosciuta negli ultimi 60/70 anni. Le ragioni di questo fenomeno sono complesse ma non misteriose: trovano soprattutto spiegazione nelle disuguaglianze che a livello geografico, educativo, morale si sono venute formando e dimostrano che l'obiettivo di Stuart Mill – uguaglianza dei punti di partenza – fatto proprio da ogni società del mondo occidentale, rischia di rivelarsi una mera e vana utopia.

    Le fratture interne che si sono prodotte indeboliscono soprattutto i paesi europei e giustificano il timore che senza una nuova regolamentazione del mercato possano prevalere modelli autoritari che non hanno sistemi valoriali da sostenere e rispettare. Riconosciuto tutto questo, mi pare tuttavia che proprio il dato oggettivo delle esperienze che abbiamo ascoltato rappresenti una scintilla positiva che permette di confidare che il modello di impresa e di banca in cui crediamo possa essere difeso.

    L'ampiezza e la qualità delle iniziative presentate segnalano una delle peculiarità positive della società civile del nostro Paese: vitale, solidale, concreta e realmente “responsabile”. Sono valori che vengono da lontano, da culture – cattolica, socialista, liberale – che rischiano di scomparire e che hanno trovato nel sociale alcune delle più stabili e positive manifestazioni di quella “responsabilità reciproca” che è il fattore decisivo per assicurare la coesione di una società. Tutto ciò è parte di una storia che va difesa, di un patrimonio di valori da cui non possiamo prescindere nell'affrontare le nuove contraddizioni alle quali dobbiamo porre rimedio.

    L'assunzione da parte della banca di compiti e responsabilità nel campo sociale si configura come una perfetta applicazione del principio di sussidiarietà consacrato dalla nostra Costituzione. Principio che Intesa Sanpaolo condivide con le Fondazioni sue azioniste, capaci di interpretare al meglio il mandato che Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato e Beniamino Andreatta proposero allorché avviarono quella radicale trasformazione del sistema bancario italiano che noi abbiamo assecondato.

    * presidente emerito di Intesa Sanpaolo