Messina: la nostra banca è il motore della sostenibilità

    Se una banca italiana riesce ad imporsi in Europa come modello di responsabilità sociale, e per questo viene indicata come esempio anche in ambienti finanziari americani, vuol dire che qualcosa di profondo sta cambiando, che quella che un tempo poteva apparire come una visione solo caritatevole o “buonista” della società sta diventando un indirizzo strategico condiviso nel mondo. E l'Italia è un laboratorio di questo cambiamento che ambisce a coniugare mercato e benessere ambientale e sociale. Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, spiega che le origini stesse della banca, con le sue fondazioni caritative che risalgono a cinque secoli fa, e l'impegno da sempre profuso nel sociale, nella difesa dell'ambiente, nella cultura, nelle iniziative di solidarietà nei confronti dei più deboli ma anche dei più meritevoli sono diventate un punto di forza, un modo per stare al passo coi tempi in un momento in cui il mondo del capitalismo si sta interrogando sul suo ruolo nella società del futuro. Basti pensare al manifesto sottoscritto la scorsa estate dalla Business Roundtable presieduta da Jamie Dimon, numero uno di una delle quattro più grandi banche d'affari americane, JP Morgan Chase, in cui si invitano tutte le aziende a non perseguire come unico obiettivo la creazione di valore per gli azionisti, ma a essere socialmente responsabili. Il che vuol dire fare business tenendo conto del benessere della collettività. Ma questa è stata da sempre la visione anche di Intesa Sanpaolo, forte, peraltro, di utili netti consolidati per 4 miliardi nel 2018. E', dunque, il momento di valorizzare un tale Dna facendone un vantaggio competitivo, a maggior ragione se nel capitale dell'istituto di credito figurano importanti investitori istituzionali sempre più sensibili ai temi della sostenibilità. Il gruppo guidato da Messina, e presieduto da Gian Maria Gros Pietro, è così pronto ad affrontare la grande sfida di un nuovo capitalismo, avendone interpretato lo spirito e compreso le potenzialità in tempi non sospetti. E quest'anno intende fare ulteriori passi per accelerare il suo contributo alla collettività, in particolare sul tema del “climate change”, individuato come strategico e prioritario da analisti, osservatori, consulenti e investitori, e come un possibile driver di crescita economica, grazie al New Green Deal approvato dalla Commissione europea presieduta da Ursula Von der Leyen. “Siamo pronti a mettere la nostra forza a disposizione di questo paese garantendo 50 miliardi di investimenti nella green economy”, ha annunciato Messina durante il convegno del 16 gennaio dedicato alla sostenibilità come motore della crescita economica. Si tratta di investimenti aggiuntivi, rispetto a quelli già in programma, che potrebbero fare da sponda al programma della Commissione che prevede un impegno finanziario complessivo di 1.000 miliardi di euro per cominciare a ridurre le emissioni di carbonio in Europa nel prossimo decennio e azzerarle entro il 2050. In Italia si stima che saranno spesi 150 miliardi e Intesa Sanpaolo si è fatta avanti per contribuire con un terzo della somma necessaria. “Quello che è importante è accelerare gli investimenti. Se si trovasse un filone che riporta le aziende a investire, questo contribuirebbe alla crescita del nostro paese”, ha osservato il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, secondo il quale obiettivi di redditività e lotta ai cambiamenti climatici non sono incompatibili se si individua obiettivo strategico su cui far convergere gli sforzi. Intesa, ha ricordato ancora Messina, è la cassaforte degli italiani: “Custodiamo 1 trilione di euro di risparmi e abbiamo 400 miliardi di impieghi. Come dire che un terzo del pil è finanziato da noi”. Per Messina, l'Italia è un paese che può continuare a rimanere “ad alto potenziale di stabilità e sostenibilità a prescindere da chi lo governa”, grazie alla forza delle imprese e delle famiglie e al supporto delle banche. Certo, c'è il problema del debito pubblico, che va gestito da chi governa, e c'è il problema della crescita diseguale, che non riguarda solo l'Italia (basti pensare che la definizione “working poor” nasce negli Stati Uniti). Ma allora devono esserci organizzazioni che, affiancando o in alcuni casi surrogando, l'operatore pubblico, operano per riequilibrare queste situazioni e dare un contributo allo sviluppo della comunità. “Noi abbiamo scelto di farlo e anche di darne conto pubblicamente, non solo perché ci sembra doveroso, ma anche perché questo potrebbe servire di esempio e di stimolo”. Per tutta questa attività nel campo del sociale, della cultura, dell'innovazione, dei giovani, del supporto ai meno favoriti, Intesa Sanpaolo punta ad avere gli azionisti dalla sua parte, garantendo loro risultati economici e allo stesso tempo la soddisfazione di essere parte di una banca che gode, anche grazie alle sue iniziative di responsabilità sociale, di grande reputazione. “Con i nostri grandi azionisti, come le fondazioni, che garantiscono stabilità e continuità di azione alla nostra banca, c'è piena sintonia perché condividono il nostro stesso sistema di valori e del resto traggono dai dividendi che ricevono fondi per le loro attività istituzionali”. Il modello Intesa alimenta, dunque, un circolo virtuoso con i suoi stakeholder. “Altra grande sintonia c'è con gli investitori internazionali, che ormai contano per circa il 70 per cento della banca, e in particolare BlackRock, il maggiore investitore mondiale, che ha una visione strategica e di lungo periodo, fortemente orientata alla responsabilità sociale e ai temi ambientali e che tende, dunque, a privilegiare attività che abbiano un ritorno sul bene della collettività”. Va ricordato che il fondatore e amministratore di Blackrock, Larry Fink, che non è un filantropo ma uno degli uomini più potenti di Wall Street e della comunità finanziaria internazionale, ha detto nella sua lettera al mercato che quest'anno riposizionerà i capitali allocati in tutto il mondo sulla base di un focus rivolto soprattutto al “climate change” avvertendo i manager delle società che dovranno affrontare il voto contrario dei suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione se i progetti d'investimento non saranno allineati a quest'obiettivo strategico. Un cambiamento epocale per il mondo degli investimenti, ma come ha sottolineato un politico e accademico come Giuliano Amato, nel suo intervento in collegamento al convegno di Intesa Sanpaolo del 16 gennaio, “non è un caso che tutto accada oggi. Infatti, nelle università, anche americane, sta nascendo un insegnamento in Business and Human Rights rivolto a dimostrare che il business non calpesta i diritti umani ma che può valorizzarli. Ecco qua un punto cruciale: se riusciamo a dimostrare che, con interventi positivi, diritti altrimenti non coperti, negati o ignorati vengono resi possibili nei loro contenuto ed esercizio, abbiamo fatto un lavoro che ha un senso economico, finanziario e più largamente di salvaguardia della stabilità futura del sistema”. Così il futuro sarà “sostenibile” per tutti.