F eroza Aziz è una ragazza americana di diciassette anni, nata nel New Jersey ma di origini afghane, il cui nome è rimbalzato come un vortice sulla rete poche settimane fa grazie a un video di quaranta secondi postato sul social network cinese Tik Tok. In quel video Feroza Aziz, per dribblare la censura cinese, si è presentata come l'ennesima ragazzina intenzionata a spiegare ai propri follower i segreti del make-up – ciao ragazzi, ora vi insegno come allungare le vostre ciglia – ma a un certo punto del video la ragazza cambia tono, invita a mettere giù il piegaciglia e inizia così a denunciare le persecuzioni e le violenze subìte dalla minoranza musulmana degli uiguri in Cina, mantenendo le mani davanti alla bocca per evitare che gli algoritmi di analisi dei video possano individuare, leggendo il labiale, alcune parole chiave capaci di causare l'eliminazione istantanea del video. La storia di Feroza Aziz ci torna utile per mettere in luce un aspetto significativo di un messaggio poderoso veicolato negli ultimi giorni in Italia da un influencer particolare di nome Checco Zalone, che in un certo senso ha scelto di comportarsi esattamente come la ragazza su Tik Tok: si è presentato, giocando con il suo piegaciglia, come un comico fintamente scorretto pronto a conquistare il botteghino lisciando il pelo al pubblico cosiddetto sovranista, al punto da essere definito per via del suo trailer addirittura un mezzo razzista, e si è mostrato poi sul grande schermo con un volto diverso, intenzionato a fare esattamente il contrario rispetto a quello a cui molti avevano creduto. Ovverosia: demolire con cura, forza e precisione, il profilo del nazionalista collettivo. Diversi commentatori, come Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, hanno cercato di argomentare una tesi suggestiva secondo la quale il film di Checco Zalone sarebbe un film “né di destra né di sinistra”, perché Zalone “è beffardo con tutti, non ha rispetto sacrale per nessuno, bersaglia vizi e manie nazionali senza distinzioni e non conosce tabù”. Storicamente, la caratteristica di Zalone è stata effettivamente proprio questa ma la peculiarità per così dire di Tolo Tolo, arrivato alla cifra mostruosa di 34 milioni di euro di incassi nel giro di sette giorni, è che il film del comico pugliese non è trasversale ma è schierato e con sublime leggerezza non rinuncia a ridicolizzare un'Italia rincitrullita dal virus del nazionalismo populista. Lo fa, Zalone, quando, utilizzando il volto del protagonista di Tolo Tolo, mette in mostra tutti i tic di un'Italia sovranista che per ragioni per l'appunto comiche si ritrova improvvisamente ad avere paura dell'altro. Lo fa, Zalone, trasformando costantemente lo slogan “prima gli italiani” in uno slogan senza senso, risibile, ridicolo, da prendere per i fondelli. Lo fa, Zalone, mostrando la pazzia del suo personaggio quando viene posseduto dallo spirito del Duce. E nel fare tutto questo compie un'operazione solo apparentemente comica e in realtà molto politica: smontare alla radice il salvinismo invitando il pubblico a seppellire la xenofobia non con una lacrima retorica modello Fuocoammare ma con una risata grassa (ai tempi della Lega di Umberto Bossi, ci furono altri comici che, più in piccolo, tentarono di ridicolizzare con successo alcuni istintacci dell'allora Lega Nord, e tutti ricorderete un famoso sketch di Aldo Giovanni e Giacomo chiamato “L'inganno della cadrega” in cui un Aldo, terrone, vestito da Dracula finisce in casa di due “leghisti della Transilvania” che ammazzano tutti i terroni che passano e che non parlano dialetto). Nella splendida conversazione avuta pochi giorni prima di Natale sul Foglio con Michele Masneri e Andrea Minuz, Paolo Virzì, che con Luca Medici (Checco Zalone) ha scritto il soggetto del film, aveva detto che “il film vi spiazzerà, perché è un film coraggioso, nettamente antifascista”.
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