V orrei discutere qualche problema aperto dal colpo americano di Baghdad. Si può trascurare, per il momento, la propaganda professionale filo pasdaran, che pure esiste nella nostra scena pubblica, e il più innocente e più diffuso equivoco di chi, in capo a una vacanza di una settimana in Iran, ne torna entusiasta della grandiosità del paese e del calore della sua gente e sospettosa dei giudizi malevoli sul suo regime. In sostanza, le reazioni “informate” si sono divise secondo due argomenti principali. Le une hanno tenuto soprattutto a spiegare che spregiudicato farabutto fosse Qassem Suleimani (infatti), così come “il suo soldato” iracheno al Muhandis, e dunque quanto giustificata fosse l'operazione Usa. Le altre si sono soprattutto interrogate sulle conseguenze dell'azione, imprevedibili ed eventualmente disastrose. Scindo le due posizioni, in parte perché hanno di fatto orientato le reazioni rispettive, in parte perché aiuta a porre una questione generale: quando e in quali circostanze colpire un nemico, in questo caso con le uccisioni mirate, sia (non dirò morale, tutt'altro affare, e impervio) ragionevolmente efficace. E una questione connessa, piuttosto interessante, per chi pensi a Donald Trump come a uno statista cretino, disposto alle più arbitrarie decisioni e dotato di un arsenale di congegni praticamente illimitato al servizio dei suoi arbitrii. Semplifichiamo la domanda: Donald Trump ha, “per una volta, fatto la cosa giusta”? O non è più ragionevole ritenere che un cretino non possa mai “fare la cosa giusta”?
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE