La guerra delle autostrade si arricchisce di particolari nuovi e, a tratti, surreali. Nel decreto Milleproroghe il governo ha previsto in caso di revoca (già annunciata) il passaggio della gestione all'Anas, in deroga alla normativa europea sulle gare pubbliche e, probabilmente, in contrasto con la Costituzione. Ma non basta. Perché questo passaggio di consegne, già problematico dal punto di vista legale, rischia di essere problematico anche per chi deve subentrare, e cioè proprio l'Anas. Nella società pubblica che si occupa di viabilità, infatti, secondo diverse indiscrezioni di stampa, c'è una preoccupazione per le ricadute legali dovute alla gestione dei tremila chilometri di strade della concessione di Aspi, che sono il triplo dei chilometri autostradali attualmente gestiti da Anas. La domanda che in Anas si pongono è: riguardo a eventuali problemi o incidenti sulla rete autostradale, su chi ricadrebbe la responsabilità penale per la mancata manutenzione delle infrastrutture negli anni passati? La soluzione richiesta, o quantomeno proposta, è una specie di salvacondotto, chiamiamolo uno “scudo penale”, per Anas. La vicenda ricorda qualcosa? Facile pensare al caso dell'Ilva di Taranto, dove la situazione è analoga, ma in cui il governo ha scelto una soluzione opposta: togliere lo scudo penale che era stato attribuito ad ArcelorMittal dopo una gara internazionale. Nel caso del polo siderurgico, a differenza del Milleproroghe che attribuirebbe la gestione delle autostrade ad Anas per legge, c'è stata una gara pubblica internazionale e lo “scudo penale” non è stato appositamente introdotto, ma già esisteva per la gestione commissariale governativa dello stabilimento. E' possibile trovare un senso in queste vicende? Se c'è, la linea comune del governo nei due casi è che lo stato può concedere lo “scudo penale” solo a sé stesso (commissari Ilva o Anas) e soprattutto in assenza di una gara pubblica. Al contrario, quando ci sono gare e privati, non vale e lo stato addirittura si impegna per cambiare le leggi e modificare i contratti. Se si pongono le condizioni per cui solo lo stato può fare impresa, non chiamatelo fallimento di mercato.
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