Se oggi ci si chiede chi siano i populisti, fornire una risposta è tutt'altro che complicato. I giornali, la tv e il dibattito politico contribuiscono pressoché quotidianamente ad affollare la galleria dei leader e dei movimenti che possono essere ricondotti a questa famiglia. Ma se ci si pone invece la domanda su cosa sia il populismo, al di là delle sue manifestazioni quotidiane, la risposta si rivela ben più ostica. Perché emerge un ostacolo legato principalmente all'eterogeneità dei fenomeni di solito associati a questa categoria. La difficoltà di definire con precisione il concetto di populismo non è comunque una novità degli ultimi anni. Già nel maggio 1967, commentando i lavori di un celebre convegno organizzato presso la London School of Economics, Isaiah Berlin osservò che il dibattito sul populismo rischiava di rimanere vittima del “complesso di Cenerentola”. “Esiste una scarpa – la parola populismo – per la quale da qualche parte esiste un piede”, aveva osservato Berlin. Anche se questa scarpa “va bene per ogni tipo di piede, non bisogna lasciarsi ingannare da quelli che si adattano più o meno bene”, e così il principe azzurro è destinato “a vagare alla ricerca del piede giusto”: perché “da qualche parte, si può esserne certi, ce n'è uno che aspetta, che si chiama il puro populismo”. Cinquant'anni dopo, gli studiosi non sembrano ancora aver trovato la loro Cenerentola. E la discussione su quale sia l'essenza del populismo non ha raggiunto un punto condiviso. Per orientarsi in questo dibattito, uno strumento davvero prezioso – ed estremamente ricco – è il volume, curato da Marco Tarchi, “Anatomia del populismo” (Diana edizioni, pp. 361, euro 19), nel quale sono raccolti fra gli altri contributi di studiosi come Margaret Canovan, Chantal Delsol, Cas Mudde, Paul Taggart e Pierre-André Taguieff. In Italia Tarchi fu in effetti tra i primi politologi a dedicare un'attenzione non occasionale ai movimenti populisti. Sulla rivista Trasgressioni – che era nata negli anni Ottanta raccogliendo alcune suggestioni di Alain de Benoist – Tarchi iniziò a ospitare infatti una riflessione a più voci su cosa si dovesse intendere per populismo. La rivista puntò in primo luogo a mettere in discussione il pregiudizio negativo che gravava – e grava ancora oggi – sull'utilizzo scientifico del concetto. E così accolse gli interventi di studiosi che, oltre a ricostruire la fisionomia dei singoli movimenti populisti, si interrogavano sul concetto e sul modo in cui adottarlo per interpretare i mutamenti negli scenari politici. Nel volume sono ora riproposti i principali contributi di quella discussione, ancora ricca di sollecitazioni, davvero preziosi per orientarsi in una letteratura che nel frattempo è diventata caotica.
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