Oltre allo sbarco in città ieri di Ibra, quasi un Ulisse di rientro a Itaca per vendicare l'onore del Milan, le poche certezze del 2020 sono che si dovrà decidere su San Siro e che sarà un anno di pre campagna elettorale (si voterà per il sindaco nel 2021), due cose più collegate di quel che sembri. Poi ci sono certezze di medio periodo, che guardano al decennio che inaugura, e non si tratta soltanto delle Olimpiadi del 2026 o della conclusione della Linea 4 del metro. A guardare più in lontananza, c'è ad esempio da annotare qualche numero ottimista, o almeno in controtendenza. Come il fatto che Milano è cresciuta in dieci anni di quasi centomila abitanti, dal milione e 322 mila del 2010 al milioni 404 mila di oggi. Anche se ha perso tremila nascite. In dieci anni, ha dimezzato anche l'inquinamento da PM10. Per capire qualcosa del futuro di una città che, bene o male, sa programmare e non ha paura di cambiare – a parte le solite sacche di “Nimby”, come i residenti che ieri protestavano per l'abbattimento di un po' di alberi al Parco Bassini, per far posto alla nuova palazzina di Chimica del Politecnico – bisogna però guardarsi indietro e riflettere sul passato. Che cosa è accaduto, cioè, per trasformare una città che nei primi anni del millennio faceva venir voglia ai milanesi di trasferirsi altrove, o di chiudere l'attività, nel “place to be” che oggi – talvolta con un eccesso di retorica che non fa mai bene, e allontana dal vero – è evocato da tutti, ovunque nel mondo, e per ogni cosa.
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