Il cinema che svela un paese

La provincia, la mitomania, la frustrazione: “Amarcord” racconta “come il fascismo sia modellato sul nostro carattere nazionale”. E poi Sordi della “Grande guerra” e Gassman

    Con varie gradazioni: “Scarpelli faceva firmare anche gli assistenti. De Concini invece no, aveva uno stuolo di assistenti, leggeva sei copioni contemporaneamente, saltava di sedia in sedia, faceva due modifiche, poi firmava, metteva mano alla tasca e tirava fuori un rotolo di banconote e ti pagava così, cash”.

    Beppe Grillo, Salvini, Iacovoni

    Cash anche per una giovane promessa che si aggirava nella Roma di quegli anni, dove non c'erano solo i dinosauri leggendari, ma anche qualche nuovo animaletto. Beppe Grillo, “molto interessante a livello psicologico, me lo ricordo a Piazza Navona, ai Tre scalini, trafficava e comprava battute, era estate, si vantava dei soldi che aveva preso in nero, nelle serate. Grillo è un attore, e dell'attore ha la psicologia”, riflette Virzì che sui Cinquestelle non è tenero. “E' un attore che viene chiamato a contratto, per interpretare dei copioni, buffi, o indignati. E' incredibile come sia stato considerato un leader, scambiato per un politico. Lui orecchia le cose, le rifà, perché è appunto uno straordinario attore; ma non può essere più che un testimonial, pagato, non so in che forma. Un influencer della Casaleggio. Un grande comico, anche se non proprio del mio genere preferito”. I grillini ricambiano tanto affetto. “Una volta una troupe di ‘Piazza Pulita' mi chiese delle cose su Grillo e successivamente sono finito in una shitstorm, come si dice. Ventimila tweet, organizzati, vuol dire che la Casaleggio si era attivata”. “Un'altra sono stato nominato pure ‘regista del giorno', sai che c'è il giornalista del giorno, additato alla pubblica gogna sul sito dei Cinquestelle, ecco, io ero il regista del giorno, perché avevo commentato l'elezione di quel bischero di Nogarin a Livorno”. “Un'altra volta ancora ero qui al mercato con la mi' moglie e il mi' figliolo, e ci hanno circondato, e hanno cominciato a urlarmi dietro che prendo i soldi da Renzi, come no”, ride Virzì. “Però mi sono spaventato”. “Ho sentito che era proprio una manifestazione di squadrismo, di fascismo”, dice Virzì. “Ma credo che oggi sia una cosa finita, gli odiatori mi sembra che stiano andando verso una struttura di odio più organizzata, cioè direttamente la Lega di Salvini”. La parola “fascismo” Virzì la pronuncia molte volte durante questa intervista, con un punto di vista interessante, come se fosse una specie di fase senile di una malattia molto italiana, la mitomania.

    Questi fascisti italiani gli sembrano attraversare il tempo e le casacche come una parata di mammoni, ragazzoni narcisi molto gaddiani. “Anche se ho una formazione da storico, anche se di fronte ai fenomeni politici ragiono da storico”, dice indicando i volumoni verdi della Storia D'Italia Einaudi, “quando penso al fascismo non mi vengono in mente De Felice o Gentile o Ginzburg, mi viene in mente piuttosto ‘Amarcord'. Quel ritratto è ancora formidabile, la provincia, la mitomania, la frustrazione, l'incapacità di prendersi delle responsabilità. C'è un elemento patologico, ricorrente. Anche la paura dello straniero va ricondotta a queste patologie, alle nostre memorie ancestrali”.

    “‘Amarcord', ‘Il federale', ‘Una giornata particolare' raccontano con precisione chirurgica come il fascismo sia modellato sul nostro carattere nazionale”, riflette Virzì. Così ecco anche oggi Salvini, “un ragazzone un po' immaturo bisognoso di successo, di conferme. Che mangia la Nutella proprio perché gli piace, non solo perché glielo dice il suo stratega, Morisi. Allo stesso tempo non ha un progetto politico, non saprebbe da che parte cominciare, per lui va bene tutto, Draghi sì, Draghi no, fuori dall'Europa, dentro l'Europa. Insomma la paura di Salvini mi sembra un po' ingigantita”.

    Salvini come stadio finale di uno sviluppo del carattere del mitomane nazionale. E Virzì ha creato uno dei mitomani più belli del cinema italiano, Giancarlo Iacovoni, il maestro inurbato nella grande città, interpretato da Sergio Castellitto in “Caterina va in città” (2003), che strepita per andare al Maurizio Costanzo Show, che è fermamente convinto delle proprie doti intellettuali, mentre tutti gli altri che ce la fanno sono “casta”. Insomma il proto-grillino perfetto. Giancarlo Iacovoni è il Manuel Fantoni libresco, di sinistra, il mitomane col romanzo urgente, il romanzo necessario che non riesce a pubblicare (quanti ne conosciamo). “Oggi quella bolla è un po' esplosa, mi pare, ma l'antipatia per i privilegiati, il desiderio di vendetta verso le persone in vista, c'è sempre stato”, dice Virzì. “Ho visto tante persone in quegli anni, più o meno dopo il Vaffa-Day, aspiranti cineasti che sbraitavano alle Giornate degli Autori, e che oggi sono al Parlamento europeo”. “Il mitomane vuole essere riconosciuto, si sente escluso, vede tutti alla tv, ma lui no, gli viene la bile.

    Da Iacovoni a Iacovacci è un attimo. Oreste Iacovacci era il personaggio di Alberto Sordi nella “Grande guerra”. E “Alberto Sordi l'ho conosciuto, certo. Era già vecchio, avevo scritto per lui una cosa che poi non si è mai fatta, si intitolava ‘La cravatta a farfalla', era la storia di un anziano avvocatone”. “Lui era un po' una caricatura, un vero reazionario, ce l'aveva con tutti, con i giovani, con le donne, con gli omosessuali”. “E non lo diceva per provocare, aveva davvero dentro un animo meschino e infantile”. Il giudizio su Sordi non è molto lusinghiero. “Genio ma cane, perché comunque lui è un cane, nei film. Ha la forza animalesca di uomo di spettacolo, ma un po' scemo”. Per noi Sordi rimane un grande mistero, ci è sempre sembrato che la teoria più solida sia quella di Rodolfo Sonego, il suo sceneggiatore-principe, secondo cui Sordi aveva una forma di pazzia (anche Enrico Vanzina ce la appoggia). Continua Virzì: “Agli inizi, mi raccontava Scarpelli, Sordi faceva cose che tutti gli altri si vergognavano di fare, andava dietro alle vecchiette, gli faceva dei “pussa via”, le spaventava, per strada. E a teatro, sono gli anni del compagnuccio della parrocchietta, il suo numero comico era talmente assurdo che non lo capiva nessuno. Era spudorato, con un'energia incredibile”. Concorda con la teoria di Sonego, che fosse pazzo? “Forse pazzo, con qualche problema di identità, anche sessuale, irrisolta”. Oddio, ma che pure Sordi? (cit).

    Notti magiche

    Questa Roma fine Ottanta-inizio Novanta, con tutte le leggende in via di sparizione e i miti pronti a trasformarsi in delusione è quella che Virzì poi ha messo in “Notti magiche”, il suo ultimo film da regista, l'anno scorso. Quella dei numi tutelari che cercano interazioni con le giovani promesse, e viceversa. “Andavamo da Otello a via della Concordia, la trattoria dove si radunavano gli ultimi giganti”, ricorda Virzì, “mi portò Scarpelli e alla fine mi dettero pure un attestato di giovane vecchio, proprio una pergamena, che mi consegnò Leo Benvenuti. Io del resto avevo 22 anni ma ero già pelato, cercavo di imitare Scola con delle giacche, il pulloverino e la cravattina, mi piacevano molto i settantenni”. C'era l'imbarazzo della scelta. Erano tutti lì che non chiedevano di meglio. “La malinconia di Mastroianni, che stava sempre dall'avvocato degli attori, Giovanna Cau, a piangere, per questioni sentimentali”. Ma come, era l'uomo più amato d'Italia. “Ma era triste. La Tatò lo faceva soffrire”. “A Fregene, dove Scola aveva casa, Mastroianni si presentava, ‘che dò fastidio? posso stare qua? Vi serve qualcosa?', modesto, dolce, molto semplice. Mastroianni umarell?!? Non ci si crede.

    E poi Gassman. “Geniale”. Ma depresso, no? “Una depressione magnificamente portata”, dice Virzì. “Poverino, è tanto depresso, dicevano tutti, tutti intorno. Io son convinto che non era vero. Recitava questa parte. Poi una volta a cena mi fa: “Ma te sei accorto che ‘er cinema è ‘na stronzata?”, diceva cose così, era una maniera per difendersi, per non farsi rompere i coglioni”. Non è vero niente! Come Manuel Fantoni, siamo sempre là. A un certo punto a una prima qualcuno gli chiede: come stai? E lui: “eh, sono molto depresso”. E quell'altro: ‘Ah, mannaggia, mi dispiace, io ci ho solo il cancro'”. Sembra che questi mostri sacri si stessero lentamente squagliando mentre il cinema italiano viveva gli ultimi scampoli di grandezza. “Scola invece intimidiva, aveva questa voce, che sembrava un po' Gassman e un po' Mastroianni, mischiati. Era inavvicinabile per me, in quanto io seguace di Scarpelli, suo rivale.