
Boris Johnson, variante inglese del trasformismo
Invece il trasformismo è la chiave anche della politica britannica. Nel pamphlet di Antonello Guerrera sulla Brexit, raro esempio di racconto che si fa analisi e viceversa, l'apertura è dedicata al tentennamento di Boris, che scrive a casa sua due articoli per il Daily Telegraph, nel momento in cui deve decidere da che parte stare sul referendum per l'uscita dall'Unione europea, e non sa per alcun tempo quale dei due debba licenziare: un testo è per il no al distacco, l'altro è per il sì. Guerrera ricostruisce con arte scaltra di ritrattista i pensieri profondi e gli scarti di sensibilità e di umore del probabile imminente premier, le esitazioni tipiche di ogni dilemma opportunistico, il contorto modo psicologico entro il quale la scelta finale matura, e come sappiamo sarà per il sì alla Brexit. Insomma, quali che siano i commenti banali all'univocità decisionista del sistema britannico paragonato al caos e all'adattamento trasformistico italiano, si prega di tenere conto del fatto inoppugnabile all'origine di tutto: Johnson ha fatto la scelta che gli conveniva e il suo apparato mentale del momento era quello di un perfetto trasformismo.
Il nostro Bisconte, paragonato a BoJo, è un genere diverso dell'opportunismo. La sua idea di politica nasce come qualcosa di avventizio, matura negli studi legali, cresce nella scelta che si appunta su di lui di una lobby, e finisce con assoluta naturalezza nel terzismo trasformistico in base al quale può stare al fianco del Truce per un “anno bellissimo” e subito dopo demolire il senatore Salvini, allo stesso titolo e con la stessa faccia (tosta), a capo di due maggioranze opposte, a parti invertite per così dire. Un destino intuibile fin dall'inizio, un trasformismo di pelle che ha per esempio l'illustre precedente di un Lamberto Dini: ministro del Tesoro del governo Berlusconi dopo il 1994, poi subito dopo preparatore dell'avvento dell'Ulivo con l'aiuto del Quirinale di Scalfaro, infine ulivista alla Farnesina per lunghi anni. Questi nostri trasformisti sono idealtipi weberiani, professionisti della materia. Boris Johnson era un sindaco di Londra carismatico e multiculturale, un caso tipico di sinistra della destra, un conservatore che intratteneva e faceva circo senza complessi, e al tempo stesso legittimava con il precedente fantastico di Winston Churchill la sua assoluta disinvoltura. Il suo dubbio trasformistico era autentico, al momento della scelta sulla Brexit, e il suo opportunismo una variante scettica del machiavellismo di sempre. Penso che bisognerà studiare meglio, senza pregiudizi moralistici, questo nostro sistema di governo, il trasformismo, che dura dai tempi del connubio cavourriano che fece l'unità sacra della Patria, e che per certi aspetti è un ingrediente universale o almeno universalmente trasversale.


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