Ora parliamo di produttivita'

“In Italia c'è un pericoloso sentimento anti industriale. La sostenibilità ambientale? Prima serve quella economica”. Parla Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda

    Firenze. Si è parlato tanto delle colpe del governo sul caso Ilva. Ora però vorremmo capire da Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, se è possibile anche parlare male dei padroni. Non è che c'è anche qualche colpa di Mittal in questa vicenda?

    “Io a questo gioco non ci sto. Vedo un'Italia che è combattuta nel discutere se ha ragione questo o se ha ragione quello. Per me e per i rappresentanti delle imprese il punto è un altro: questo paese vuole ancora continuare a produrre acciaio o vuole produrre cozze? Questo è veramente dirimente. Se vogliamo produrre acciaio, e io credo che questo paese abbia bisogno dell'acciaio, capiamo come. L'Italia non è più realista. E' un paese che sta ragionando di cose che non esistono e non guardiamo alla realtà dei fatti. Vi faccio alcuni esempi. Si sta discutendo se è giusto o no rivedere il business plan che era all'origine del contratto firmato da Mittal. Ma il mondo è cambiato in questo anno, ve ne siete resi conto? I numeri non stanno più in piedi. La questione non è se Mittal fa il furbo. Qui si tratta di di vedere cosa sta succedendo nel mondo. E' questa la discussione su cui vorrei stare”.

    Crede che il governo abbia la capacità di venire fuori da questo inguacchio terribile?

    “Il governo deve per forza venirne fuori. Ha creato il problema e lo deve risolvere. Tutti parlano senza ricordare. Ilva nasce nel '62 dallo stato. E' lo stato a fare i parchi minerali scoperti e siamo noi che abbiamo pagato 15 mila miliardi di vecchie lire per fare l'acciaio dello stato – che non funzionava –; è il comune di Taranto che porta le case vicino allo stabilimento; viene privatizzato perché non è più possibile gestirlo; viene dato ai Riva che lo gestiscono in modo giusto o sbagliato; interviene la magistratura e poi 7 anni di gestione commissariale, che non porta a nulla se non a bruciare le risorse. Viene fatta la gara e data a Mittal. Questa è la storia e ce la dobbiamo ricordare altrimenti non risolviamo i problemi e non siamo realisti. Mittal stava facendo gli investimenti su quella che era la copertura dei parchi. Perché qui ne parliamo ma nessuno è stato a Taranto. Andate a vedere cosa sono i parchi minerari. Coprire quei parchi non è uno scherzo. La questione dello scudo penale non nasce dai Mittal ma dalla gestione commissariale, perché i commissari non firmavano più dato che nessuno si assumeva più le responsabilità. Quindi capiamo di cosa stiamo parlando, interveniamo e facciamo le cose per bene”.

    Quanti iscritti di Assolombarda vi hanno segnalato problemi per le loro aziende in altre zone d'Italia relativi alla crisi dell'Ilva?

    “E' una crisi che sta colpendo. Noi siamo concentrati sugli 11.000 dipendenti diretti, ce ne sono 6.000 delle piccole e medie imprese che lavorano a Taranto ma abbiamo circa un centinaio di imprese che lavorano nei nostri territori e che per commesse dirette o indirette su Ilva già stanno risentendo della crisi”.

    Le transizioni bisogna saperle guidare. Ce n'è una grandissima che riguarda tutta l'industria dell'automotive in Europa: il passaggio dal Diesel ad altri tipi di motore. L'Italia è investita drammaticamente da questa transizione. Si vede qualcosa in movimento, c'è qualcuno che prende le decisioni?

    “Personalmente sono molto deluso perché il dibattito pubblico è stato sulla sostenibilità ambientale. E' giusto che Greta ci abbia riportato all'attenzione qualcosa che era importante. Però c'è una sostenibilità sociale, una sostenibilità generazionale che parte da quella economica. Noi europei eravamo all'avanguardia sul diesel. Abbiamo fatto un suicido collettivo pensando che l'elettrico avrebbe risolto tutto. Però non è quella la strada, ce ne sono altre, come l'idrogeno. Ma soprattutto ci siamo consegnati a chi su materie prime e tecnologia è vincente: i paesi dell'est. Loro hanno le materie prime e le tecnologie per fare le batterie a litio. E noi cosa faremo? Compreremo tecnologie, ci porteremo in casa i problemi di smaltire quelle batterie e non avremo nessun beneficio, anzi ci porteremo a casa tutti i problemi.

    Circa due settimane fa lo Spiegel ha intervistato i più grandi ceo delle aziende produttrici tedesche. Hanno detto: “Noi nonostante i miliardi di investimenti che potremmo fare, abbiamo perso questa competizione”. Do due numeri per fare capire. I cinesi nel 2021 inaugureranno undici tratti autostradali sul driverless. Noi siamo qua a discutere se facciamo la Tav o no. Tanto per dare le dimensioni.

    La Cina ha 2.000 auto sperimentali sul driverless. Il più grande competitor di tecnologie americane di questo tipo, la Waymo, ne ha 169, Bmw ne ha 5, Audi ne ha 3. E' una competizione che abbiamo perso. Ma questa è una competizione importantissima perché le nostre imprese nel settore dell'automotive sono inserite nelle catene del valore aggiunto. E quelle cose spariranno: il motore endotermico viaggia tra i 1.400 e i 1.500 componenti; il motore elettrico 150. Chi produce bulloni – e noi siamo leader mondiali nella produzione di bulloni – fatto cento quelli che ne mette in un motore endotermico, ne mette due in un motore elettrico. Interi pezzi dell'industria italiana scompariranno. Voi sentite qualcuno al governo che parla di questo? Io ho un referente per parlare di questo? Nessuno.

    Stiamo abdicando al futuro del nostro paese e parliamo tanto di giovani ma noi quel futuro non glielo diamo, l'abbiamo già cancellato”.

    In Francia Macron non è riuscito a risolvere la grana Whirlpool. E' andato onestamente dai dipendenti e dagli operai per dire “guardate, non ce l'abbiamo fatta, dobbiamo trovare altre soluzioni”. Che significa produrre altro. Da noi questo è un tabù. Allora, la politica industriale che guarda soltanto alla conservazione poi ci preclude le possibilità di aprire queste altre strade.

    “Sono perfettamente d'accordo. La necessità di riconvertire e ritrasformare le nostre imprese, le nostre industrie con quello che il mercato sta ridisegnando sta portando a una serie di crisi industriali molto importanti: Ilva certo, ma anche Alitalia. Non dimentichiamocelo quest'ultimo capolavoro: 7 anni di gestione commissariale e siamo ancora qua a capire quale sarà il partner. Da imprenditore per me è una follia perché vorrei sapere prima che fa l'Italia e poi cerco il partner. Cercare il partner senza sapere se sarà una compagnia di lungo raggio o una compagnia regionale mi sembra una follia”.

    Tra l'altro con i due partner indicati ora uscirebbero due esiti completamente diversi dal punto di visto operativo.

    “Assolutamente. Il dibattito sul mantenimento del livello occupazionale è importantissimo, ma i livelli occupazionali li manteniamo se manteniamo le imprese. La sostenibilità è prima quella economica. Se non ci sono imprese possiamo parlare di qualsiasi cosa. Ma è un bellissimo convegno, un bellissimo esercizio intellettuale che non serve a nulla”.

    L'impresa non è al centro della politica italiana, anzi è vissuta in tutt'altro modo. Perché succede?

    “Penso, con molta onestà intellettuale, che con il voto del 4 marzo 2018 una parte molto importante del nostro elettorato abbia mandando un segnale per dire che chi aveva governato, i ceti dirigenti del paese, avevano commesso degli errori e in quella parte di ceto dirigente ci siamo dentro anche noi. Quindi come impresa non mi chiamo fuori. Quello che mi spaventa è che oggi, sulla base di quello che è successo, sta ritornando un sentimento anti industriale molto forte in questo paese. E' un sentimento facile. Il difficile è spiegare perché è importante l'industria italiana. Se tutti ritengono che gli imprenditori italiani hanno le qualità e le capacità per andare a investire altrove, come è possibile che il mio paese non lo capisca? Io sono nato qua, vivo qua, investo qua e vorrei essere trattato come io amo il mio paese”.

    Landini ha detto che le imprese esagerano nella ricerca di margini attraverso la riduzione di costi, comprimendo i redditi dei lavoratori in modo anche surrettizio. E poi ha aggiunto che i tempi sono maturi per riflettere sulla riduzione dell'orario a parità di salario o addirittura di incremento. Fra le due cose c'è una via di mezzo un po' più sana?

    “Dobbiamo essere molto chiari: finte cooperative, false cooperative, chi pensa di fare impresa solo sul costo del lavoro del dipendente non è un imprenditore. Qui stiamo parlando di imprenditori seri che investono e guardano al mercato investendo sul capitale umano. Poi però dobbiamo parlare di una cosa di cui in questo paese non sento parlare da nessuno: la produttività. Ma è una parola che è scomparsa dal vocabolario? Do due esempi: fatta 100 la capacità produttiva nel 2000, l'Italia oggi, dopo 19 anni, è a 101. La Germania è a 119. Se guardo al costo del lavoro per unità prodotta, fatto 100 per l'Italia nel 2000, oggi siamo a 138 e in Germania a 119. Quindi la Germania ha trasferito produttività su quello che è il costo del lavoro. Noi abbiamo perso competitività. Se andiamo avanti su questa strada, le imprese italiane saranno costrette a chiudere tutte. Volete un paese che fa le cozze? Benissimo. Saremo il primo produttore mondiale di cozze”.

    Assolombarda parla più facilmente con la Regione Lombardia o con il governo centrale?

    “Assolombarda parla con tutti. Per noi sono tutti interlocutori. Abbiamo un grande rispetto delle istituzioni. Vorremmo però che le istituzioni guardassero al mondo dell'impresa non in maniera demagogica. Ci sono imprenditori seri che investono, che amano il loro paese e che, nonostante tutto, stanno tenendo ancora in piedi l'Italia. Noi siamo rimasti qua dal 2008 al 2018, nel periodo della crisi più grave dal Dopoguerra in poi e abbiamo retto perché abbiamo creduto nelle nostre imprese, perché abbiamo investito, perché tutti i giorni andiamo nei mercati internazionali, nonostante la poca credibilità del nostro paese, portando il nostro marchio.

    Se guardiamo i dati i licenziamenti arrivano all'antica e non per applicazione del nuovo articolo 18. Questo è qualcosa che ci racconta qualcosa del nostro paese, della nostra impresa, del nostro sindacato?

    “Ci racconta di un paese che guida guardando solo lo specchietto retrovisore. Pensiamo ancora all'impresa come alla fabbrica fordista dell'Ottocento. Ma il mondo sta disegnando un'impresa moderna, un'economia moderna. Sento parlare di aumentare la retribuzione e diminuire le ore lavoro: io sono pronto a uno scambio sulla produttività. Sono disposto a pagare di più. L'ho dichiarato per primo: ‘Dobbiamo pagare di più i giovani' e nel mio mondo non sono risultato molto simpatico. Però vorrei un paese dove si possa discutere di cose importanti, che ci rendano un paese moderno. Dire No Tav, No Tap, no questo, no quello… Non è essere un paese inclusivo, un paese che invece dovrebbe essere un faro. Se guardo alla classifica del World Business della World Bank, il Botswana è davanti all'Italia. Con tutto il rispetto per il Botswana ma io credo che noi ci meritiamo qualcosa di meglio”.

    Quelli che dicono No Tap poi vogliono il gas per l'Ilva. Quelli che dicono No Tav vogliono meno circolazione pesante sulle strade; quindi magari alla luce di queste contraddizioni qualche risultato si otterrà?

    “Lo spero. Io e il ministro Tria avevamo discusso su alcune cose; su alcuni punti non ci eravamo trovati, ma si aveva un'idea di dove doveva andare il paese pur tenendo conto dei buchi della finanza pubblica. Bisogna ritornare a parlare di cose serie ma purtroppo siamo un paese perennemente in campagna elettorale. Immaginiamo le cose che ci servono: a noi, alla nostra famiglia, ai nostri figli. Ribadisco: sostenibilità ambientale, sociale, generazionale. Queste sono le cose su cui io vorrei discutere, su cui vorrei che l'Italia guardasse, non su cose che non servono e servono solo al dibattito pubblico per i due voti in più, perché c'è l'elezione in Emilia Romagna. Certo che se poi fanno la plastic tax, la sugar tax…”.

    A proposito, come si è arrivati a uno strumento tanto rozzo come la plastic tax? Non avete più un lobbista buono?

    “Non è un tema se c'è un lobbista buono o no, ma cosa c'è dietro la plastic tax. Era finalizzata al gettito: serviva a trovare delle risorse finanziarie e ci siamo inventati la plastic tax”.

    Ma non è un gran gettito …

    “Guardo a quello che è stato messo nella bozza di legge di Bilancio per un semestre: dal 1° luglio al 31 dicembre prossimo il gettito previsto è di 1 miliardo. Non mi sembra una micro tassa: 1,6 miliardi per il 2021. Quando si fanno le cose bisogna capire quali sono le ricadute sull'economia reale. Ritroviamo la competenza. Se diciamo che la sostenibilità ambientale è un tema imprescindibile per il nostro paese dobbiamo essere coerenti. Il ciclo del trattamento dei rifiuti industriali lo devi completare; i termovalorizzatori li devi fare, perché altrimenti la plastica dove la metto? Vorrei parlare con persone serie, competenti, che si vogliono sedere al tavolo, che magari hanno una visione diversa dalla mia, che mi possano anche spiegare qualcosa e io sarò d'accordo con loro. Ma fare misure finalizzate solo al gettito… io non ci sto”.

    Quindi mettendo misure rozze come la plastic tax si fa un danno, alla fine dei conti?

    “Questo è dimostrato. Prendo un altro esempio. Il fringe benefit sulle auto aziendali. Le auto aziendali non sono un bene di lusso che viene date ai dipendenti. Sono dei beni strumentali. Noi come imprese facciamo dei contratti di noleggio a lungo termine per 3 anni. Non possiamo rescindere il contratto e andare a comprare le auto ibride. Non funziona così perché abbiamo delle penali. Vorrei che qualcuno al ministero mi spiegasse quando qualcuno si alza la mattina cosa ha in testa. Perché se si pensa solo al gettito allora aumentiamo di un punto l'Ires e abbiamo risolto. Abbiamo bisogno di due miliardi e mezzo perché dobbiamo coprire quel minimo di intervento sul cuneo fiscale? Mettiamo un punto di Ires. Facile. Semplice. Possiamo essere d'accordo o meno, ma lo accettiamo. Forse era il caso di pensarci prima perché adesso tornare indietro è davvero difficile”.

    Poi c'è una questione politica rimasta in sospeso: il Pd ha romanizzato il M5s o il M5s ha barbarizzato il Pd?

    “Il tema politico, come rappresentante delle imprese, non mi interessa. Io non sono né opposizione né maggioranza. A me interessa la politica industriale di questo paese che da parecchi anni è scomparsa dai radar”.

    Calenda dice che la faceva, un pochino…

    “Calenda ha fatto degli interventi molto importanti: l'Industria 4.0. che serviva ad accompagnare una trasformazione dell'industria. Peccato che è stato smontato, depotenziato. Adesso si parla di credito d'imposta. E' ovvio che come imprese non possiamo avviarci verso una trasformazione tecnologica se ogni anno ci cambiano le regole”.

    Un bel ricordo personale: Lei ha iniziato la Sua esperienza industriale qui a Firenze e c'è stato per 2 anni e mezzo. Poi si è trasferito a Milano. Altri trasferimenti in vista?

    “Ho vissuto qui a Firenze e ho iniziato la mia carriera come civil servant di Confindustria, quindi sono legato a questa città. Penso che in questo momento dobbiamo essere molto concentrati su quel che succede e sugli avvenimenti del paese. Voglio rimanere concentrato per potare avanti quelle che ritengo le politiche industriali più importanti. Roma è una bellissima città ma del doman' non v'è certezza, parafrasando Lorenzo il Magnifico”.