
La politica lascia il campo ai giudici
Il dubbio che anche la politica economica sia decisa non dal governo ma dalle procure. L'abolizione del finanziamento pubblico e i partiti che si sono delegittimati da soli
Nel nostro ordinamento vige il principio, tanto sacrosanto quanto irreale, dell'azione penale obbligatoria: la conseguenza è che la magistratura gode, di fatto, di un margine di discrezionalità molto ampio. E allora c'è poco da stupirsi se sul totale delle accuse quelle che trovano conferma nel giudizio sono una percentuale minima, per non parlare poi del ricorso al ‘naming and shaming', alla prassi che consiste nell'additare al pubblico ludibrio una persona solo destinataria di un avviso di garanzia, anticipando così il giudizio sociale che deriva dalla sanzione”. La centralità del giudice si manifesta ormai in ogni campo, dall'economia alla politica. La paura dell'intervento giudiziario blocca anche la burocrazia. “Viene correntemente definito lo ‘sciopero della firma', i funzionari preferiscono astenersi per non rischiare. L'attuale blocco dei lavori pubblici è dovuto al timore dei funzionari, nella morsa tra procure e Anac. Guardando ciò che accade nel nostro paese, sorge una domanda: chi decide la politica economica d'Italia? Il governo o le procure? E le procure si rendono conto che qualche volta diventano lo strumento dell'azione politica?”.
La giurisprudenza creativa è da considerarsi un elemento patologico del sistema? “Il ruolo creativo del giudice è ormai un fenomeno che si manifesta in misura crescente a livello mondiale, e non mi meraviglierei di questo. Prima si diceva: la fonte del diritto è la norma. La realtà si va sviluppando in modo diverso. Le cause sono molteplici: la pluralità delle fonti del diritto (dal livello regionale a quello europeo e internazionale), l'irrazionalità dell'attività legislativa italiana (abbiamo troppe leggi e troppo poche leggi organiche con una conseguenza inevitabile, la contraddittorietà delle norme). Il giudice, chiamato a risolvere un caso concreto, deve operare una scelta, non può rispondere ‘non liquet'”. Le cronache giudiziarie ripropongono il tema del finanziamento pubblico. “Io credo che emerga una questione principale: chi decide se una fondazione è tale o è una articolazione di partito? Non c'è una apposita commissione prevista dalla legge del 2012? Dall'altra parte, non sarebbe bene rispolverare una regola che vigeva nella Dc dove, a eccezione di una breve parentesi di Ciriaco de Mita, il capo del governo non era segretario di partito?”.
Secondo il presidente emerito della Camera dei deputati Luciano Violante, “la presenza eccessiva dei magistrati nella vita umana e sociale è dovuta non a un disegno strategico ma a una serie di condizioni oggettive”. Talvolta però c'è anche l'abuso. “Certo, gli abusi individuali esistono ma vanno considerati come casi isolati. Io non le nascondo che sono preoccupato dall'elevato numero, il più alto nella storia recente, di magistrati sotto processo, condannati e addirittura detenuti in carcere. E' un dato da non trascurare perché ai magistrati spetta il compito di far rispettare le leggi, e per questo sono in grado di esercitare un potere enorme nella vita di ciascun cittadino”. Quali sono, a suo giudizio, le “condizioni oggettive” che favoriscono la giurisdizionalizzazione della democrazia? “In primo luogo, nelle società occidentali è cresciuta la consapevolezza dei diritti, e quindi si è dilatato lo iato tra la mole di richieste di cui si pretende soddisfazione e la capacità effettiva dello stato di venire incontro a tali istanze. Lo stato si mostra infatti sempre più incapace di rispondere in modo adeguato sia per la scarsità delle risorse sia perché chi si batte per i diritti non tiene conto della compatibilità generale della sua richiesta; in altre parole, ignora i diritti degli altri. I diritti, che scaturiscono dagli individui, confliggono inevitabilmente tra loro perché manca una parallela assunzione di doveri. La scomposizione delle società occidentali ha fatto venir meno il senso della comunità, e dalla comunità derivano i doveri. I doveri sono frutto delle comunità, i diritti degli individui. Il ricorso al giudice per ottenere il riconoscimento dei diritti diventa molto frequente, e d'altra parte i giudici devono districarsi tra molteplici fonti del diritto, dalle carte costituzionali alle convenzioni internazionali. Si dice infatti che il diritto è insaziabile. C'è poi un secondo aspetto che riguarda le leggi che in numerosi paesi occidentali ormai non definiscono più una regola ma uno ‘spazio giustiziabile' all'interno del quale il giudice interviene in base ai parametri generali dell'ordinamento. L'effetto è un progressivo slittamento verso meccanismi di common law dove la regola è giudiziaria e non legislativa. E' noto però che la magistratura italiana rifiuta il valore vincolante del precedente in nome della propria indipendenza. In altri termini, i magistrati non vogliono essere vincolati dal giudicato precedente e, secondo me, sbagliano perché la giustizia va esercitata nell'interesse dei cittadini e non di chi la amministrata. Questo aspetto aumenta il peso non del giudice in quanto tale ma dei singoli giudici e dei singoli organi giudiziari in ambito sia economico e politico”.
A proposito del rapporto tra politica e magistratura, l'inchiesta sulla fondazione renziana Open ha riaperto il dibattito sul finanziamento della politica. Il rischio è che, abolito quello pubblico, adesso si criminalizzi quello privato. “Demonizzare le fondazioni sarebbe un grave errore, il loro operato va valutato caso per caso, alcune svolgono attività culturali di grande rilievo, altre danno un effettivo contributo alla formazione di classi dirigenti. In Germania, dove il finanziamento pubblico dev'essere pari a quello privato, non un euro in più, perché ogni partito deve guadagnarsi la fiducia dei cittadini, la Cdu e la Spd hanno due grandi fondazioni che formano la classe dirigente. Devo anche dire però che è abbastanza ipocrita approvare regole che non possono che essere violate”. Gli ultimi scandali per tangenti e corruzione risalgono a quando il finanziamento pubblico, sotto forma di rimborsi, foraggiava le casse dei partiti. “L'abolizione del finanziamento pubblico è il punto di caduta di una progressiva disillusione alimentata da molti partiti che si sono delegittimati da soli. Si è inseguito un sentimento popolare invece di spiegare la verità. Ci sono sentimenti popolari giusti e sentimenti popolari sbagliati. Se c'era un deficit di controlli o norme scritte male, si dovevano affrontare i nodi. Tenendo a mente però che non esistono soluzioni miracolose e per sempre, viviamo in un mondo complicato e nessuna organizzazione può vivere senza risorse”. Da gennaio, con l'entrata in vigore della legge cosiddetta “spazzacorrotti”, le fondazioni sono equiparate ai partiti. “La trasparenza deve essere un prerequisito, altrimenti poi si mettono in atto escamotage che rischiano di creare situazioni opache in cui si inserisce l'intervento giudiziario”. Si ha l'impressione che in certi casi, anziché intervenire in presenza di una notitia criminis, la magistratura attui un controllo di legittimità preventivo. “Questo pone un enorme problema sul fronte dell'equilibrio dei poteri. E si ricollega a quanto si diceva a proposito delle condizioni oggettive che favoriscono la giurisdizionalizzazione. Al fattore sociale e normativo, se ne aggiunge un terzo: la sovranità che spetta alla politica si trasferisce gradualmente alla giurisdizione. Il sovrano è colui che decide il conflitto ma la politica molto spesso non è in grado di deciderlo e allora interviene il giudice. Pensi a quanto è accaduto nel Regno Unito dove il premier Boris Johnson ha chiesto a sua maestà la Regina di sospendere i lavori di Westminster per tre settimane. Alcuni cittadini sono ricorsi alla Corte suprema che ha dichiarato illegittima la ‘prorogation', e perciò nulla e priva di effetti. In Italia accade quasi regolarmente: la politica che non riesce a risolvere il conflitto lascia campo libero ai giudici”.
Lei che idea si è fatto del caso ex Ilva? Voglio dire: una fabbrica che vale l'1,5 percento del pil, nel fuoco concentrico di due procure, e un governo che appare paralizzato. “Va avanti da anni l'edificazione di quella che io definisco la ‘democrazia della sorveglianza', un sistema fondato sul clima di sospetto e sfiducia verso pubblico e privato. A Taranto io non vedo un conflitto dei pm per primeggiare ma evidenzio piuttosto che, se la politica fosse stata capace di risolvere i problemi ambientali e occupazionali, l'intervento della magistratura non sarebbe stato necessario. Si è dibattuto a lungo del cosiddetto ‘scudo penale', un principio sacrosanto in uno stato di diritto. Va da sé che se un'azienda porta avanti un piano di risanamento ambientale non può essere chiamata a rispondere dei comportamenti precedenti”. Si parla spesso anche dell'attivismo togato in materia di “nuovi diritti”: laddove c'è un vuoto normativo, il giudice inventa di sana pianta un diritto che prima non c'era. “L'idea che ogni desiderio sia tramutabile in diritto rappresenta un'ulteriore dissoluzione del sistema”.


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