E Ferrara perse la testa per la Lega

Il partito di Salvini è passato dal 3 al 30 per cento negli ultimi cinque anni. In mezzo c'è il tracollo del Pd. L'onda della crisi e l'incapacità della sinistra di domarla

    “Il centrosinistra non lo ha fatto e ha persino legittimato una certa narrazione della destra, scegliendo soluzioni dal sapore securitario e pertanto sbagliate al problema che, tuttavia, sussiste e va affrontato diversamente”. Ecco, questo senso di prossimità fisica la Lega lo ha garantito. “Il quartiere Gad viene descritto come una sorta di Bronx. Eppure qua c'è di tutto. Ci sono villette con famiglie benestanti ma anche i due famosi grattacieli, che sono diventati negli anni un simulacro stiracchiato da entrambi gli schieramenti. Il centrosinistra ha minimizzato i problemi, la Lega li ha cavalcati”, dice al Foglio Fabio, che lavora alla Factory Grisù, un'ex stazione dei pompieri recuperata e in cui oggi operano una ventina di aziende. “Ferrara è un'isola felice, non c'è mai stato un problema criminalità. Da alcuni anni però c'è un problema in quel quartiere, che poi si è riverberato fino in provincia. A Bondeno le persone parlano di quella zona lì, che è diventata un simbolo, e le persone hanno paura che quella realtà si possa ricostruire nel loro ambiente”, dice al Foglio Corradi, segretario del Pd di Bondeno.

    Problemi reali sommati alla sottovalutazione del centrosinistra e alla campagna aggressiva della Lega hanno prodotto la vittoria di Alan Fabbri, leghista col codino, che al ballottaggio ha portato la città a destra dopo 74 anni di governo di sinistra. O forse viene da dire che ce l'ha riportata, visto che Ferrara ha fatto in tempo a essere molte cose e, come ha detto una volta lo scrittore Giorgio Bassani, “era una città totalitariamente fascista”.

    In cinque anni la Lega qui è esplosa. Nel 2014 aveva preso 2.471 voti, il 3,36 per cento, eleggendo un solo consigliere. Nel 2019 quei voti sono diventati 22.093, pari al 30,94 per cento. In mezzo c'è il tracollo del Pd. Cinque anni fa il Pd prendeva 34.464 voti, pari al 46,89 per cento (18 seggi) sull'onda anche del successo del Pd nazionale guidato da Matteo Renzi alle Europee. Quest'anno i voti si sono più che dimezzati: 15.586, pari al 21,82 per cento. Alcuni fattori hanno senz'altro influito sul tracollo. Forse anche la scelta del candidato, Aldo Modonesi, ex assessore ai Lavori pubblici della giunta precedente, quindi in totale continuità, buttato nella mischia a due mesi dal voto. La concorrenza di un'altra candidatura, Roberta Fusari, architetto, ex assessore della giunta precedente, ha pesato: ha preso l'8,6 per cento, pari a 6.500 voti, superando persino il M5s, che ha dovuto anche fronteggiare una scissione. Ma forse il centrodestra avrebbe vinto comunque.

    “Il nuovo sindaco rappresenta un grosso elemento di novità non solo per la città di Ferrara, ma anche per l'intera provincia. Chi liquida il suo successo associandolo solo a facili movimenti di pancia, al cavalcare paure, commette un grave errore”, dice al Foglio Gian Luigi Zaina, ingegnere, imprenditore tessile, vicepresidente Confindustria Emilia Area Centro, seduto negli uffici di via Montebello. “Fabbri arriva dopo una formazione sul campo, una gavetta umile, bella come quelle che si fanno per vocazione nelle periferie senza riflettori, dove solo la passione o la grande ambizione ti possono portare lontano senza corromperti con le lusinghe del potere. La presenza fisica importante e la tempestività delle sue presenze sul campo, dove i problemi si vivono, con la semplicità di chi ci si mette a disposizione. Da lui ci aspettiamo una voglia di sburocratizzare l'amministrazione pubblica, di renderla snella, che non ci veda come sudditi ma come protagonisti della vita sociale del territorio. Ci aspettiamo che concentri tutte le sue energie, insieme con noi, al rilancio dell'economia della provincia, favorendo l'insediamento di nuove imprese, allo sviluppo di quelle esistenti”. A Ferrara “ha vinto la Lega ma prima di tutto ha vinto il suo sindaco”, dice al Foglio un attento osservatore come Bruno Simili, vicedirettore del Mulino. Fabbri, appunto. Figlio di agricoltori, ingegnere, già sindaco di Bondeno, provincia di Ferrara, che è terra famosa per la sua salama da sugo. Il territorio ferrarese purtroppo è noto anche per le sue difficoltà economiche, ricorda Simili. “Il ferrarese e tutto il Polesine sono una zona povera che ha patito tantissimo e che non è del tutto venuta fuori da una stagione di grandi sofferenze, il ricordo delle alluvioni è ancora vivo. Il consenso delle elezioni comunali arriva da quell'onda lunga”. A Ferrara c'è un problema di povertà, come attestano vari studi, compreso uno sulle condizioni di vita che ogni tre anni viene fatto dal Comune. Con l'indagine attuata nel 1994, si è stimato che la percentuale di povertà fosse del 5,2 per cento delle famiglie ed è rimasta del 5,1 per cento nel 1997, mantenendosi al 5,4 per cento nel 2000, al 5,5 per cento nel 2003 ed al 5,6 per cento nel 2006. Nel 2009, invece, si è osservata una forte crescita: la percentuale di famiglie sotto la soglia di povertà è salita al 9,3 per cento, per poi mantenersi all'8,6 per cento nel 2012. Nel 2015 si registra una percentuale di povertà dell'8,4 per cento, con una diminuzione non statisticamente significativa, diminuzione che diventa invece significativa nel 2018, con il valore osservato di 6,7 per cento. “Per quanto riguarda i singoli individui, l'incidenza di povertà a Ferrara si è mantenuta tra il 4,6 per cento del 1994 e il 4,7 per cento del 2006 con una certa stabilità, per poi nel 2009 salire all'8,3 per cento, al 9,8 per cento nel 2012 e al 10,2 per cento nel 2015. Nel 2018 si osserva una diminuzione al 7,8 per cento. Bisogna tenere in considerazione che a causa dell'aumento nel comune del numero totale di famiglie e della loro sempre più ridotta dimensione (in media 2 componenti per famiglia), alla crescita della quota percentuale di famiglie al di sotto della soglia di povertà, si aggiunge una loro crescita in termini assoluti; le famiglie povere sono cresciute da 2.879 nel 1994 a 6.012 nel 2009, per poi diminuire gradualmente a 4.364 nel 2018. Il numero di individui che vivono in famiglie in condizioni di povertà nel 2015 aveva raggiunto quota 13.454, valore massimo da 6.240 del 1994, e scende a 10.310 nel 2018”.

    L'onda, appunto, è lunga. Tutti ricordano le vicende della Cassa di Risparmio di Ferrara, liquidata nel 2015, ma è solo l'ultimo caso. “Il tessuto economico ferrarese è storicamente prevalentemente agricolo con una struttura industriale ed economica piuttosto fragile e ancorata a grandi poli industriali come il petrolchimico e il settore della trasformazione dei prodotti primari”, dice Zaina al Foglio. “Nella continua e profonda trasformazione degli ultimi decenni, i sistemi rigidi non si sono evoluti con la rapidità che il mondo richiede e sono seguite in successione diverse crisi importanti, come quelle di Coopcostruttori, Eridania, Carife. Salta il patto, sono scosse le radici del sistema dalle fondamenta. Non si tratta solo di crisi aziendali, ma di veri e propri collassi di sistemi di convivenza e di tenuta sociale e della sconfitta di intere classi dirigenti. Sul fronte dimensionale opposto, una rete di piccole imprese, il più delle volte microaziende terziste e specializzate in settori tradizionali, si ritrovano spiazzate dalle logiche e dalle dimensioni dei mercati globali. La scarsa diffusione di medie aziende non ha garantito quel naturale terreno fertile che detta le condizioni per un continuo ricambio e ringiovanimento imprenditoriale”. Le difficoltà economiche della provincia hanno influito sul voto e quindi sul cambio di giunta? “Certamente”, risponde Zaina. “La sinistra ha governato la provincia per 70 anni ininterrotti, inevitabilmente finendo per fondere politica, amministrazione e spesso anche grande impresa, quella più strettamente dipendente dal sistema pubblico”. Questo, spiega Zaina, “ha fatto cemento, costruito una rete forte, chiusa, anche funzionale per tantissimi anni, solidale, in grado di tenere strette le maglie di una società coesa con un grande spirito di appartenenza, diga invalicabile per le opposizioni che non ha saputo rigenerarsi e proporre nuovi grandi progetti di sviluppo che oggi abbiano impatto reale nell'economia della provincia. L'incompiuto cambio generazionale ha appiattito la storica rappresentanza capillare e popolare finendo per far apparire agli occhi della gente e del mondo produttivo questa classe dirigente come conservatrice e incapace di reagire ai problemi reali, strumento burocratico di puro esercizio del potere, spesso più attento al mantenere i posti di comando a volte anche con l'arroganza del potere di palazzo”.