
Un giusto processo su Milano
Il famoso schiaffo di Avellino, lo sbrocco del sindaco toccato nel sacro graal del lavurà. La città aspira tutto quello che c'è intorno e la procura diventa protagonista anche a Taranto
In generale l'Instagram – un bell'Instagram – di Beppesala è astuto e aspirazionale, mostra la vita di un signore felice, in belle case, una bellissima fidanzata (Chiara Bazoli), libri interessanti, vasche da bagno d'epoca. In generale pare l'Instagram di un privato cittadino, più che di un amministratore, e in questo c'è il successo e la contemporaneità. La privatizzazione del pubblico, con gli outfit, con le foto in vacanza, Beppesala fa cose, è insomma – apriti cielo – la stessa di un Matteo Salvini, ovviamente depurata dalla volgarità, spurgata dai mojitini, ma sempre di corpi, talvolta al sole si tratta. Ed è molto diversa da quella di altri sindaci: distantissima dall'Instagram di Virginia Raggi, per esempio, ansiogeno e basico come direbbero a Milano, ma più da sindaco, e dunque forse “antico”, fatto di cartelli “Nuovi bus a metano”; “Centro off limits agli autobus turistici”, scritte cubitali gialle di impegni poi quasi mai mantenuti, “Rinasce deposito Atac San Paolo”, “Roma avanti nel turismo di lusso”, compattatori di bottiglie di plastica, in una valanga di foto anche cromaticamente incoerenti (ma la Raggi ha 250 mila follower, il doppio di Beppesala).
Anche offline la comunicazione di Beppesala è efficiente, giovane, top. Non sbaglia un colpo: incontra e capta tutte le manifestazioni di figaggine varia – appena Mahmood vince Sanremo, lui se lo accaparra subito: “Unico cantautore che si ricordi a essere stato intervistato da un sindaco di Milano” strilla subito l'ufficio stampa collettivo della città-stato, una delle forze della Milano di oggi, un centro di positività che dirama e irraggia il resto del paese e il mondo intero di good news milanesi.
Beppesala ha incontrato in primavera il cantante in un evento già leggendario nella costruzione del mito della nuova Milano: “Per una volta non sarò io l'intervistato – ha detto – ma chiederò a lui di parlarmi di come vive Milano e di cosa può fare la nostra città per i giovani”. Beppesala intervista anche Marracash, altro rapper, altro segmento della Milano inclusiva e partecipata. Poi Ghali, poi Jovanotti. Beppesala partecipa a tutti i gay pride, a tutte le manifestazioni, per la pace, per la Segre, le sagre, e i milanesi si fanno il selfie con Beppesala. Top.
Ma il Beppesala beach party definitivo è stato quando ha distribuito borracce d'acqua naturalmente “del sindaco” ai ragazzi delle elementari e medie. A metà settembre si è dotato di contenitori di alluminio e insieme al cantante (quanti cantanti) Marco Mengoni si è fatto ritrarre insieme a bambini festanti in pose un po' nordcoreane. Caption: “Con il mio amico @mengonimarcoofficial a consegnare borracce #amomilano #plasticfree” (e pazienza se qualche professore lamenta che le borracce sono un po' pericolose e i bambini se le danno in testa, che diventano ricettacoli di germi), l'ufficio stampa collettivo copre tutto il rumore di fondo. A Milano si sta bene. A Milano sono tutti felici.
Qualche volta Beppesala, perché è umano, perde la brocca anche lui, a causa del male oscuro milanese, la übris: così c'è stato il già famoso schiaffo di Avellino, che a Milano si tende a dimenticare, ma tocca qui ricordare, invece, un anno fa, quando Beppesala a un convegno “in” Bicocca, rispondeva all'allora in voga tematica delle chiusure domenicali dei negozi, idea avanzata dall'allora ministro dello Sviluppo economico Di Maio; e Beppesala rispondeva, ovviamente, giustamente, che trattavasi di “follia”. E poi perché i negozi sì, e non i giornali, ad esempio? Ma non sazio del buonsenso, si scatenava in un pensiero un poco razzista: “Se la vogliono fare in provincia di Avellino la facciano, questa chiusura. Ma a Milano è contro il senso comune. Pensassero alle grandi questioni politiche, non a rompere le palle a noi che abbiamo un modello che funziona e 9 milioni di turisti”.
La sparata di Beppesala stupiva per quel riferimento ad Avellino, paese di nascita di Di Maio, che però trova la costituency soprattutto a Pomigliano d'Arco, e il riferimento alla rottura di palle, e ai turisti pure (il turismo a Milano continua a crescere, ha battuto Roma, è cresciuto del 17 per cento anche a settembre). “Mi rende particolarmente orgoglioso”, dice Beppesala.
Ma quello su Avellino era un tipico sbrocco da milanese, toccato oltretutto nel sacro graal del lavurà. “Lavoro guadagno pago pretendo”, era Milano contro il sud tutto intero, a partire da Roma, Franca Valeri contro Alberto Sordi nel “Vedovo”. Avellino era una metonimia, la parte per il tutto (il più illustre avellinese della storia d'Italia è Ciriaco De Mita, oggi a 91 anni ancora sindaco della città, già definito da Gianni Agnelli “un intellettuale della Magna Grecia”). Il simmetrico di Beppesala.
De Mita però è un uomo del secolo scorso, Beppesala è l'uomo dei nostri tempi. Beppesala si ricandiderà, Beppesala guiderà il Pd, Beppesala può fare ciò che vuole: forse però non in Italia, perché l'Italia – Provenzano was right – è un'altra cosa. Milano è ormai una città stato, un emirato felice, una bolla. E' il secolo delle città, e Milano è la città più città di tutte. Lo teorizza lo stesso Beppesala, nel suo libro, “Milano e il secolo delle città” (La nave di Teseo). Lo ha ammesso anche Antonio Calabrò, giornalista e vicepresidente di Assolombarda; nel 2025, secondo una ricerca McKinsey, in 600 città globali il 66 per cento della popolazione del mondo produrrà due terzi del pil mondiale. E se la competizione internazionale già adesso non è più tra nazioni, ma tra grandi aree metropolitane ricche di connessioni, tra “sistemi territoriali integrati”, la “grande Milano”, con la rete di relazioni e di flussi di persone, idee e affari “nel raggio di cento chilometri”, ha tutte le caratteristiche per giocare un ruolo di primo piano. Anche “in termini di smart city, di economia circolare e civile, di quel green new deal caro anche alla Commissione Ue”.
E però il Guardian, forse eterodiretto da Peppe Provenzano: “Questo posto è cambiato enormemente negli ultimi anni. E' molto più internazionale”, fa dire a un Pierluigi Dialuce, giovane economista émigré romano a Milano, intervistato dal giornale inglese. “Ci sono stati così tanti investimenti e c'è così tanta cultura. Roba che non trovi in altre parti d'Italia. Il milanese non esiste più. Milano è fatta da professionisti che sono venuti a vivere qui perché qui ci sono opportunità che non ci sono lì da dove vengono. Questi sono il meglio che l'Italia offre. E' una specie di selezione naturale, che sta creando una comunità che è molto più europea come mentalità. Milano non è l'Italia”, dice Dialuce, commentando un sondaggio Eumetra dell'anno scorso, secondo cui l'85 per cento dei milanesi non sceglierebbe un'altra città in cui vivere. Questa quota aumenta fino al 90 per cento tra i più giovani, in particolare tra i 18-24enni (95 per cento) e tra i 25-34enni (91 per cento). Città stato, città bolla, con gioventù coreana, che sfila per il suo sindaco.
Il titolo del pezzo del Guardian è: “Come le megacittà d'Europa hanno rubato la ricchezza del continente”. La tesi è affascinante ed è totally Provenzano: sempre più persone si concentrano in luoghi urbani iperqualificati, che a loro volta producono richiesta per un certo tipo di beni e servizi ad alto valore aggiunto. Diventando sempre più attrattive, risucchiano quello che c'è intorno. E' anche un po' la tesi di Enrico Moretti, il nostro economista di Stanford, che teorizza i cluster: luoghi come le abbazie benedettine nel medioevo, con tutti i talenti concentrati (e intorno il deserto).
Milano ha l'horror vacui e si prende tutto: è appena finita Bookcity, la settimana del libro, ma poi c'è piano city, e calcio city, e la settimana del mobile e della moda, e la photo week e la game week e digital week e la art week. Non tutte sullo stesso livello eccelso, ma comunque nulla sfugge all'idrovora milanese, il salone del libro tenta di resistere, le Olimpiadi non ce l'hanno fatta. Milano è un Dyson. Aspira tutto quello che c'è intorno: anche a livello giudiziario: la procura guidata da Francesco Greco ha appena aperto un'inchiesta su Taranto (più lontana di Avellino), non perché vi sia ipotesi di reato, ha precisato, ma perché c'è un interesse pubblico a difendere l'occupazione e l'economia. Insomma, Milano investita di competenza anche morale-giuridica sul resto d'Italia.
Nella città-stato a difendere occupazione ed economia ci pensano i milanesi, invece: albergatori e tassisti, baristi e Airbnb, finanzieri e architetti. I prezzi stanno diventando una cosa seria. Arrivare, nella città-stato, a volte è difficile (i treni veloci da Roma costano anche 90 euro a tariffa piena). Scapparne a volte impossibile, quelli del weekend vanno prenotati con anticipo. Rimanervi, pestilenziale. In questi giorni di Bookcity – ma le settimane in cui non c'è qualcosa sono ormai pochissime – impossibile trovare un Airbnb sotto i 120 euro. Per chi ha fatto il grande passo, e decide di stabilirvisi, millecinque è il prezzo per l'oggetto dei desideri, il “bilo”. Le agenzie immobiliari lo sanno e sfornano letteratura e branding e acronimi, “zona Fondazione Prada”, “Nolo”, Naba, i racconti di chi cerca casa in questi anni di trionfo milanese sono angoscianti, devi andare coi soldi in mano, altro che coeur in man.
Micidiali periferie con microclimi lagunari sono vendute a 4/5 mila al metro, famigerati scali ferroviari vengono sottoposti a biechi ripristini da parte di primarie archistar mondiali ad attirare incauti forestieri in rigenerazioni urbane velocissime. Chi ha casa se la affitta su Airbnb nelle innumerevoli week e va a stare da amici. C'è un problema di spazio, fisico e metafisico, come ti raccontano gli imprenditori che tentano di aprire a Milano. A parte gli affitti terribili, bisogna ormai strapagare le maestranze; si studiano soluzioni, grazie anche o per colpa delle Frecce e della Tav che ha compiuto in questi anni il miracolo di Milano, agendo come vaso comunicante ha portato tutti dove si sta meglio.


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