Contro l'ambientalista collettivo, la ragione
Ma l'andamento dello sviluppo dell'umanità ci mostra con chiarezza una cosa a cui dobbiamo tendere con maggiore decisione. Un disaccoppiamento fra la quantità di risorse naturali che utilizziamo e i livelli di benessere della popolazione. Potremmo anzi descrivere lo sviluppo umano come la ricerca di una sempre minore dipendenza dalle risorse naturali. Un viaggio dal “naturale” verso tecnologie e materiali “artificiali” sempre più efficienti in termini di energia e risorse naturali consumate. E più un paese è economicamente e tecnologicamente avanzato più questo processo è evidente. Saremo in grado di restituire alla natura spazi sempre più estesi quanto meno dipenderemo da essa, sostituendo al consumo di risorse naturali prodotti “lavorati” frutto della nostra intelligenza. L'esatto contrario di ogni ideologia della decrescita. La povertà è il primo nemico dell'ambiente. Accentuare invece questo disaccoppiamento è l'unica strada verso un futuro più sostenibile.
Di fronte a noi stanno immense possibilità tecnologiche ancora da sviluppare. Anzi una nuova generazione di tecnologie ancora da esplorare in tutte le loro potenzialità. Miglioramento genetico in agricoltura, agricoltura di precisione, energie rinnovabili, nuove tecnologie nucleari, compresa la fusione, elettrificazione dei trasporti pubblici e privati, nuovi materiali sintetici, chimica della materia, nanotecnologie, robotica, smart city, intelligenza artificiale.
Di questo dovrebbe parlare un pensiero ambientale maturo.
Anche di fronte a quella che viene considerata la sfida più importante: il riscaldamento globale. Anche in questo caso l'approccio catastrofico condanna, al contrario di quanto si pensa, all'impotenza. Gli scenari descritti a causa dell'aumento delle temperature (aumento del livello dei mari e conseguente scomparsa delle città costiere, desertificazione, uragani e altri fenomeni climatici estremi) di fronte alla scarsità dei risultati fino ad ora ottenuti e alla evidente indifferenza o tiepida simpatia delle aree del mondo maggiormente responsabili delle emissioni, gli Usa per la quantità totale, Cina e India per i tassi di crescita delle loro emissioni, finiscono per divenire un rumore di fondo. La vita continua e la criminalizzazione degli stili di vita dei paesi sviluppati o le rampogne per quelli che vedono nella crescita economica il modo per uscire da secoli di indigenza appaiono armi spuntate e poco convincenti. Il 2018 ha visto il picco delle emissioni di gas climalteranti e le previsioni sono tutt'altro che positive. Molti osservatori stimano che siamo ancora lontani dall'avere raggiunto il picco delle emissioni e la curva di decrescita necessaria diventa sempre più ripida. Vi è una distanza enorme fra i beau geste di chi riceve Greta in Parlamento e l'efficacia delle politiche adottate.
Avremmo bisogno anche di un bagno di realismo. Discutere seriamente non dell'ambientalismo, un sentimento utile, ma anche assai i confuso e, come si è visto, spesso controproducente, ma delle politiche ambientali da misurare per la loro diversa efficacia, per i loro costi, per la loro compatibilità. Non mancando in Italia gruppi e persone che questo lavoro lo fanno, trovando per la verità scarso spazio rispetto alla spettacolarizzazione mediatica dei temi ambientali. Ma se i sentimenti, per quanto ammirevoli, non lasciano spazio alla ragione e alla politica del fare, saremo seppelliti dalla nostra indignazione.
Chicco Testa


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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