C'è un sopravvissuto al crollo di wework

    La storia della caduta di WeWork è diventata nota a tutti da ormai un paio di mesi. Adam Neumann, startupper fascinoso, mette su un'impresa di coworking che altro non è che un business immobiliare, lo confeziona come se fosse un business tecnologico, e lo fa crescere allo stesso passo delle startup tech, grazie a ottima pubblicità, carisma personale e un sacco di soldi di venture capital. Il gioco si rompe quando WeWork tenta di quotarsi in Borsa e gli analisti cominciano a guardare dentro ai conti dell'azienda. Neumann passa per megalomane che ha portato un bel progetto allo sbando, la quotazione viene ritirata, WeWork rischia di fallire. Arriva SoftBank, il gigante giapponese, che aveva già investito in WeWork e decide di salvare la baracca. Propone un piano di acquisizione da 7 miliardi di dollari (pochi mesi fa il valore di WeWork era 47 miliardi), in cui Neumann avrebbe dovuto perdere ogni incarico.

    Poi si scopre che SoftBank pagherà a Neumann un miliardo di dollari per le sue quote di WeWork. Gli fornirà un prestito di 425 milioni di dollari per ripagare una linea di credito che lui aveva aperto con JPMorgan, Credit Suisse e UBS. Infine, lo assumerà come consulente, e lo pagherà 185 milioni di dollari in tre anni. Nel frattempo, WeWork licenzierà quattromila dipendenti su dodicimila totali.