
Un libro sulla teodicea per illuminare la crisi di oggi
Chi è Eric Nelson, lo storico di Harvard che ribalta un presupposto della modernità liberale
E ric Nelson è uno dei più brillanti storici del pensiero politico in circolazione, specializzato nei dibattiti che hanno dato origine alla modernità e nei riflessi che questi hanno gettato sulla teoria politica contemporanea. 42 anni, professore ad Harvard, dove si è laureato, ha conseguito il dottorato all'università di Cambridge sotto la supervisione di un gigante della storia delle idee come Quentin Skinner, e fra le altre cose si è occupato dell'influsso del pensiero greco sulla scuola repubblicana, del rapporto fra le idee monarchiche e la fondazione degli Stati Uniti e ha editato e commentato le traduzioni dell'Iliade di Thomas Hobbes. Una delle peculiarità della riflessione di Nelson è il tentativo di rinvenire la dimensione religiosa che ha animato la riflessione politica della modernità, scavando negli strati della secolarizzazione per restaurarne la centralità misconosciuta. Si potrebbe dire che è un'opera di “allargamento della ragione”, per usare una vecchia espressione ratzingeriana che non è mai andata di moda, e che perciò è sempre attuale. Finora Nelson si è concentrato soprattutto sul pensiero ebraico, ma nel suo ultimo libro The Theology of Liberalism: Political Philosophy and the Justice of God (da poco pubblicato in America per Harvard University Press/Belknap) esplora una disputa che si è svolta soprattutto nel perimetro della cristianità, quella sulla teodicea, ovvero la coesistenza del male e della perfetta e infinita bontà di Dio. La questione, iniziata con la disfida fra Agostino e Pelagio, complica il nodo fra libertà, grazia e peccato che sarà al centro della riforma protestante, poi trasferita sul piano del disincanto e della secolarizzazione. Secondo Nelson, però, la faccenda è semplicemente inabissata, non risolta, e riaffiora in superficie con John Rawls, il rifondatore del liberalismo contemporaneo. Anni fa il professore è stato invitato a un simposio informale nel quale uno dei suoi colleghi ha proposto ai presenti di leggere insieme la tesi di laurea da poco pubblicata del grande intellettuale americano. L'idea di affrontare anche le esternazioni giovanili di un autore di cui aveva masticato migliaia e migliaia di pagine non era elettrizzante, per usare un eufemismo. E invece in quel testo era nascosto un tesoro prezioso: la testimonianza che Rawls abbracciava un'impostazione agostiniana del problema umano, dunque in contrasto con la base neo-pelagiana che accomunava i padri fondatori del pensiero liberale, all'alba della modernità. Ne consegue che il filosofo più influente nel ridefinire il perimetro del liberalismo di oggi aveva un debito ancora non saldato con una concezione che a parole sconfessava e malediva, assecondato dai suoi critici, ansiosi di cancellare le tracce dell'agostinismo latente. Questa contraddizione è il “Pensiero dominante” di questa settimana, e nell'intervista pubblicata in questa pagina Nelson spiega i termini fondamentali di un'interpretazione che rovescia diversi luoghi comuni su liberalismo e secolarizzazione.


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