I NUOVI DRAGHI D'ITALIA

Stefano Cingolani

    L'addio di Mario Draghi alla Bce viene celebrato oggi con solennità, come si conviene. Se ne va l'italiano che ha esercitato per otto anni un ruolo di primo piano, svolgendo con coraggio e maestria l'enorme compito di salvare l'unione monetaria e l'economia europea. Non c'è più un cittadino dell'Italia seduto tanto in alto nel Vecchio continente. Ma i piagnoni del declino, anche se questo tipo di declino, dimenticano che in realtà sono molti, più di quel che si possa immaginare, a ricoprire posizioni di primo piano e di assoluto rilievo in Europa. Scienziati, docenti, medici, manager, imprenditori, chef, sono arrivati in cima a una scala che spesso hanno salito scalino dopo scalino, non sono calati dall'alto con il paracadute, si sono fatti con il merito o, se preferite Machiavelli, con la virtù e la fortuna. Cervelli in fuga? No, meglio chiamarli cervelli in movimento. Nuova emigrazione? Attenti con le parole, in un mondo i cui confini si sono fatti sempre più porosi e in una Europa dove i giochi dello scambio diventano, sia pur faticosamente, a tappe, a chiazze, integrazione, alla faccia dei Brexiteers e dei nazional-populisti.

    Abbiamo raccolto cinquanta nomi e cinquanta profili di italiani che vivono e lavorano all'estero, più esattamente in un paese europeo, partendo da un parterre molto più ampio. E' una scelta, arbitraria come tutte le scelte (e ce ne assumiamo ogni responsabilità), che spazia tra i mestieri più diversi, e le più disparate discipline: dalla scienza all'economia, dalle banche all'industria, dall'arte alla cucina. Ci sono giovani che hanno da poco raggiunto una posizione di rilievo e più maturi che da molti anni hanno impresso la loro orma. C'è chi all'estero ha vissuto fin da quando ha cominciato a lavorare, chi invece ha lasciato l'Italia dopo gli studi e le prime esperienze professionali o chi è arrivato al culmine di una lunga carriera. Sono a nostro avviso esempi di una nuova classe dirigente in un mondo che non è piatto o appiattito, ma semplicemente aperto. Molti non erano profeti in patria e non lo sono ancora, forse lo diventeranno al ritorno, perché per lo più torneranno. In ogni caso saranno protagonisti di un travaso fecondo che riguarda esperienze, idee, competenze. Non hanno più la valigia di cartone, portano con sé ben altri bagagli. Come Mario Draghi. Sulle sue orme o prima di lui, quasi a precederlo idealmente. Nel momento in cui la campagna contro l'establishment è diventata caccia all'élite e poi rifiuto della competenza, la nostra top list vuole diventare una risposta e nello stesso tempo un aiuto per contrastare l'onda nera del risentimento, dell'invidia, di un plebeismo cieco e autodistruttivo.

    Il circo mediatico-politico si chiede come mai molti giovani preferiscano fare i lavapiatti a Londra e non lo farebbero mai a Roma o a Milano. Le risposte sono le più diverse e hanno a che fare con benefici pubblici (la disoccupazione finché dura) e privati (la movida per esempio o anche imparare una lingua). Poco si ragiona su quanto sia utile vivere in un altro paese, conoscere altre abitudini e culture, entrare in un'altra società, comprendendo e accettandone l'infrastruttura istituzionale, legale, culturale. Nella nostra lista dei cinquanta, si nota subito la folta pattuglia di manager, banchieri, industriali. E già questo segna una netta differenza dal passato. Gli emigrati del dopoguerra andavano a lavorare nei pozzi di carbone o nelle catene di montaggio. Oggi guidano imprese energetiche, manifatturiere, aziende di credito.

    Il successo di LVMH, Louis Vuitton Moët Hennessy, vero impero della moda e del lusso, numero uno al mondo, è dovuto all'astuta maestria di Bernard Arnault, ai suoi legami con la haute finance, alla quantità di capitali che riesce a convogliare, ma anche alla professionalità del direttore generale Antonio Belloni. Laureato all'Università di Pavia, si è specializzato all'Eni e poi dal 1978 ha salito tutti i gradini alla Procter & Gamble fino a diventare numero uno in Europa. Nel 2001 Arnault gli propone di dirigere LVMH, entrando anche nel consiglio di amministrazione e diventando presidente del comitato esecutivo. E' lui, insomma, ad aver gestito in questi 18 anni le strategie del gruppo.

    Nel mondo della moda la creatività non si esercita soltanto disegnando vestiti da portare in passerella, occorre tagliare, cucire e poi vendere. A Marco Gobbetti da Bolzano, con alle spalle una lunga carriera in case prestigiose (Bottega Veneta, Moschino, Givenchy, Celine) la Burberry in cerca da tempo di un nuovo riposizionamento, ha affidato due anni fa il compito di rinnovarsi e rilanciarsi. La vecchia Burberry's ha perso la s, ma non le è bastato. Il fatto è che la Old Britannia, checché ne dicano i brexiteers, non tira, non la compra nessuno. Tocca a due italiani cambiarle look e sostanza. Da Givenchy Gobbetti porta con sé il direttore creativo Riccardo Tisci, considerato uno dei migliori disegnatori di moda al mondo. Nato in provincia di Taranto, orfano di padre quando era ancora un bambino, si trasferisce con la madre e gli otto fratelli in provincia di Como. Da lì a 17 anni nel 1991 parte per Londra. Nel 2004 presenta la sua prima collezione a Milano e viene catturato dalla Givenchy.