E l'Ue non riesce a decidersi

    L'Unione europea ha condannato l'azione della Turchia in Siria che “compromette gravemente la stabilità e la sicurezza dell'intera regione”, dice il comunicato ufficiale dei ministri degli Esteri riuniti ieri in Lussemburgo. Non si è trovato un accordo sull'embargo europeo della vendita di armi ad Ankara, perché ci sono state delle opposizioni interne, in particolare da parte del Regno Unito: ogni paese dell'Ue deciderà autonomamente (così hanno già fatto Svezia, Norvegia, Olanda, Francia e Germania; il ministro degli Esteri Di Maio ha annunciato la firma di un decreto a breve). Berlino ha cercato di dettare la linea strategica: il dialogo con la Turchia deve rimanere aperto, anche perché è un alleato della Nato, ma bisogna reagire con estrema rapidità se la crisi politico-umanitaria peggiora, cioè devono essere pronte misure di contenimento nei confronti delle operazioni di Recep Tayyip Erdogan. La Francia sta cercando di mettere in sicurezza le proprie truppe a sostegno degli americani in Iraq e in Siria e ha chiesto una riunione urgente della coalizione anti Stato islamico per cercare di stabilire un'azione comune. Il prossimo capo della diplomazia europea (ammesso che la Commissione di Ursula von der Leyen riesca a iniziare il suo mandato) Josep Borrell ha detto che un voto unanime sull'embargo è “difficile da ottenere”, solitamente queste politiche vengono adottate “dai singoli paesi” che come inizio non sembra granché rassicurante e anzi conferma la sostanziale inerzia dell'Unione europea nei confronti del conflitto siriano. C'è il patto con la Turchia sui migranti che ovviamente condiziona le mosse europee: Erdogan si è fatto garante, dietro lauto compenso, della gestione del flusso migratorio dalla Siria, e ora usa questo suo potere per imporre un sostanziale silenzio a un'Europa che non è che abbia mai avuto tanta voglia di alzare la voce. Non c'era naturalmente modo di fermare il via libera dato da Donald Trump ai turchi – il presidente americano non ascolta i suoi generali, figurarsi se vuol sentire che cosa hanno da dire gli europei, tanto più che gli effetti collaterali di questa crisi ricadranno più sull'Europa che sull'America – ma l'Ue non ha mai elaborato una propria visione né sul futuro della Siria né sul ruolo che i vari attori internazionali hanno avuto in questo conflitto: molte condanne e molti occhi chiusi, questa è stata la politica estera dell'Ue. Con un'aggravante: i paesi europei non hanno gestito la questione – delicatissima – dei propri foreign fighter, che non sono tornati nei paesi d'origine e ora che stanno scappando dalle prigioni e costituiscono un'ulteriore minaccia, locale e ovviamente per l'Europa.