In vista l'alleanza strategica Pd-M5s. Un po' troppo

    C'è da costruire una maggioranza presidenziale in Parlamento che sia frutto di inventiva politica e stabilità per il 2022, riarticolando un sistema politico ferito dalla tempesta ormonale dei ducisti, specie nel suo rapporto con l'opinione pubblica. Una graduale convergenza sul terreno del possibile, d'accordo, la ricerca di un lavoro comune nelle regioni in lizza elettorale, d'accordo, e forse qualcuno dovrebbe discuterla con impegno, spirito di persuasione, reciprocità, questa convergenza, ma così, con un annuncio tv di buone intenzioni, bè, mi sembra un azzardo.

    Non è solo una faccenda di vaffanculo, di Casaleggio, di quell'armata Brancaleone anticasta che sono i grillini. C'è la questione della legge elettorale. Il sistema maggioritario in Italia è fallito, ha ragione Francesco Cundari: è fallito quando Berlusconi fu ribaltato, e quando egli stesso invitò gli elettori a andare al mare in occasione del referendum che aboliva la quota proporzionale del Mattarellum, era politicamente fallito quando fu ritirato con la coda tra le gambe il decreto Biondi, è fallito quando si ricorse al Porcellum, quando Bersani fece uso confortevole ma inane del Porcellum, quando la Corte costituzionale lo cassò perché eccessivamente maggioritario, quando il ballottaggio fu sconfitto dall'accozzaglia nell'ultimo referendum, quello renziano. Il sistema e la società hanno invalidato i benefici evidenti di una prospettiva maggioritaria e di riformismo costituzionale, non si sono trasformati i partiti, i cartelli elettorali, i governi di coalizione, insomma non si è affermato il complemento bipartitico, almeno tendenzialmente, che la vocazione maggioritaria per governi stabili e fattivi, con un'investitura chiara e la riparo dagli eccessi del parlamentarismo, implicava necessariamente. E a questo punto che si fa? Non una realistica gimkana tra desistenze e liste civiche per le regioni, e una altrettanto realistica legge elettorale proporzionale, no, si fa un rilancio di esclusivo sapore antisalviniano, peraltro a me graditissimo, dell'aritmetica elettorale elementare: siamo il 48 per cento. Ma non ci si domanda con altrettanta nettezza: siamo un possibile soggetto politico e un cartello elettorale credibile? Abbiamo qualcosa da dire insieme al paese che non sia l'unità di comportamento contro il ritorno dei brubru?

    Non so, posso sbagliarmi, ma i tatticismi sono pericolosi, oltre un certo limite, e ogni limite ha la sua pazienza, come diceva Totò. Tutti sono alla ricerca di una chiave facile di lettura del futuro politico. Nessuno vuole sobbarcarsi la fatica di preparare il campo, discernere i problemi in contatto con l'umore profondo degli italiani e con le mutazioni in atto nel mondo e in Europa, il tutto sempre meno decifrabile in verità, e allora nasce la tentazione di farla non facile ma semplicistica. Il centrodestra andrebbe normalizzato e desalvinizzato, non eccitato a ricostituirsi in pompa magna falsomaggioritaria. E per quanto Franceschini mi paia un uomo di governo tenace e capace, la sua parte in commedia di stratega della santa alleanza la vedo come un calcolo imprudente, non ne capisco le vere ragioni. In attesa di smentite.