L'altalenante interesse della politica per il tecno-ottimismo della Silicon Valley
Dall'idea di imbrigliare i Big Tech alla consapevolezza che questa industria è ancora il volano dell'economia americana Scrive il New York Times (28/9)
Q ual è l'orientamento politico della Silicon Valley? Non è così facile dirlo. Nel 2016 i democratici e il mondo dei Big Tech erano stretti alleati. Quasi tutti i soldi donati dai dipendenti di aziende tecnologiche ai candidati alle presidenziali di quell'anno erano per Hillary Clinton, la cui visione economica incontrava il favore della Silicon Valley”, scrive Margaret O'Mara. Quattro anni dopo, i candidati delle primarie democratiche sono ostili nei confronti dei Big Tech, e anche quelli che fino a poco tempo fa erano i più grandi sostenitori della Silicon Valley, oggi hanno raffreddato i rapporti. Pete Buttigieg in un recente comizio si è schierato dalla parte dei guidatori di Uber e Lyft. “Meritano gli stessi diritti dei lavoratori normali”, ha detto il sindaco di South Bend. Mentre il noto imprenditore Andrew Yang, anche lui in corsa alle primarie democratiche, vorrebbe una legge antitrust più rigida ed è critico con i social media per i loro effetti sulla salute mentale.
Allo stesso tempo i repubblicani pensano che le grandi aziende tecnologiche siano troppo “liberal”. Trump le accusa di censurare le opinioni conservatrici sui social network. Ma i Big Tech cercano di non compromettersi, e dicono che stanno cercando di trovare “un equilibrio” per “migliorare la qualità del dibattito pubblico”.
L'ideologia della Silicon Valley non è né conservatrice, né “liberal” o libertaria. E' un'ideologia ben precisa, che prende il nome di tecno-ottimismo: è quell'idea secondo cui l'innovazione tecnologica, e quindi la classe degli ingegneri, deve guidare la società e i governi verso un progresso costante. La fiducia nel futuro è un tratto distintivo di questa ideologia, lo dimostrano gli ambiziosi progetti dei grandi imprenditori della Silicon Valley, dalle abitazioni sulla luna alle auto che si guidano da sole. Il tecno-ottimismo però non è una scoperta recente, trova le sue radici nell'ingegno americano e nel progresso tecnologico.
“La lingua del tecno-ottimismo è figlia della retorica ideologica americana del secondo dopoguerra. ‘Scienza, la frontiera senza fine', era il titolo del report tecno-ottimistico del 1945 scritto da Vannevar Bush, il capo dei consiglieri scientifici di Franklin Roosevelt e Harry Truman, che nel dopoguerra supportò gli investimenti senza precedenti del governo americano in ricerca e sviluppo. Ingenti somme di denaro cambiarono faccia alla valle di Santa Clara e trasformarono la Stanford University in un centro all'avanguardia. Dwight Eisenhower riempì la Casa Bianca di consiglieri che era solito chiamare ‘i miei scienziati'. John Kennedy, annunciando la missione Apollo nel 1962, dichiarò che ‘l'uomo nella sua ricerca di conoscenza e progresso è determinato e non può essere dissuaso'”, scrive O'Mara.
Ma già negli anni 70 si respirava un'aria completamente diversa. Gli investimenti militari calarono e molti ricercatori vennero licenziati. Il presidente Richard Nixon sciolse il suo comitato scientifico e incoraggiò la ricerca privata. Nel decennio successivo crebbe una nuova generazione di ingegneri informatici. Dal fondatore di Apple a quello di Atari, in molti iniziarono a scommettere sullo sviluppo di nuove tecnologie. Le loro idee erano molto differenti da quelle dei politici repubblicani, sebbene i conservatori siano stati i primi a scommettere sullo sviluppo di nuove tecnologie al di fuori della sfera pubblica. Questa nuova generazione non aveva più fiducia nel sistema politico, screditato dagli orrori della guerra in Vietnam e dai sotterfugi del caso Watergate. Il governo, d'altro canto, non era più il primo sostenitore dello sviluppo tecnologico. La Casa Bianca era invece divenuta il simbolo della burocrazia e di tutto ciò che non funzionava nel paese. Il disinteresse degli ingegneri per la politica era palese, a tratti sfoggiato come un vanto. “Non ho mai votato nel corso della mia vita”, dichiarò Steve Jobs nel 1984. Charlie Sporck, capo del National Semiconductor, aggiunse: “Io ero un antigovernativo e vedevo tutti i politici come un gruppo di bastardi”. Imprenditori come Jobs e Sporck non chiedevano ai politici il ritorno degli investimenti statali dei decenni passati, bensì promuovevano la deregulation finanziaria e il taglio delle tasse. Erano, quelli, gli anni Ottanta del neoliberismo imperante. I politici amplificavano e rinforzavano l'ideologia imprenditoriale. “Dobbiamo ringraziare questi imprenditori e le loro piccole aziende per la crescita economica degli Stati Uniti. Loro sono i protagonisti della rivoluzione tecnologica”, dichiarò Ronald Raegan nel 1988.
“Il tecno-ottimismo è evoluto al fianco dei due maggiori partiti americani. I conservatori legati al mondo della tecnologia furono ignorati da George H. W. Bush, il quale voltò loro le spalle quando il Partito repubblicano sposò il conservatorismo sociale. In seguito una nuova generazione di legislatori democratici adottò le priorità del mondo high-tech. Bill Clinton lavorò a stretto contatto con la Silicon Valley per dare forma a nuove norme per regolare internet e propose di agire sul ‘digital divide' come soluzione alla disuguaglianza economica. Barack Obama agì in modo simile. ‘Che magnifica cattedrale che avete contribuito a costruire', disse Obama durante un discorso al summit sulla cybersicurezza di Stanford nel 2015”, scrive O'Mara.
La generazione degli Zuckerberg deve quindi ringraziare un sistema pluridecennale, che ha trovato appoggio sia da destra che da sinistra. Un sistema, questo, che crede nelle nuove tecnologie come strumento per diffondere la libertà, e promuove più trasparenza e interconnessione per “rendere il mondo un posto migliore”. Tuttora, nonostante l'opposizione del Congresso ai Big Tech, i legislatori sono tecno-ottimisti. Per i politici l'industria tecnologica è ancora il volano dell'economia. Loro sanno bene che la risposta ai problemi della società americana non è meno tecnologia, ma una tecnologia differente e, in definitiva, migliore. (Traduzione di Samuele Maccolini)


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