
La regressione del medico Da ippocrate a greta Nelle facoltà di Medicina in America il clima e la giustizia sociale tolgono spazio e risorse alla cura dei corpi. Il dibattito sulla svolta antiscientifica
Stanley Goldfarb è un medico americano e professore alla University of Pennsylvania, dove in passato ha guidato anche il dipartimento che si occupa di stabilire e aggiornare il curriculum della facoltà di Medicina. Goldfarb non è affatto contento del modo in cui le medical school americane stanno ridisegnando i propri corsi di studi, e ha esternato il suo dissenso in un editoriale sul Wall Street Journal in cui denuncia la tendenza – promossa dalle maggiori associazioni del settore – a includere nel percorso di formazione dei medici corsi sui cambiamenti climatici, il controllo delle armi da fuoco, la giustizia sociale. Alcuni esempi del trend: l'American College of Physicians ha preso posizione nel dibattito sulle armi da fuoco chiedendo una riforma restrittiva sul loro possesso. La presidentessa, Ana Maria Lopez, ha detto che “abbiamo urgente bisogno di leggi per tenere lontano le armi da chi commette violenze domestiche” e ha sottolineato che le donne sono particolarmente esposte ai rischi. L'American Medical Association e l'International Federation of Medical Students sostengono l'introduzione di corsi obbligatori nelle facoltà di Medicina sugli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute, e la direttiva è già stata applicata da diverse università, fra cui la University of Minnesota e la University of Illinois. La Mayo Clinic, il più importante centro di ricerca in America, ha da poco avviato una discussione su come integrare il tema nel curriculum degli studenti. 187 università hanno aderito alle linee guida proposte due anni fa dal centro di salute pubblica della Columbia University, che preme per fare dei cambiamenti climatici un pilastro dell'educazione dei medici. Goldfarb conosce queste dinamiche per esperienza diretta: nel suo precedente incarico presso l'università dell'Ivy League è stato duramente criticato da alcuni colleghi per aver resistito a una riforma in senso socio-politico del percorso di studi. Si potrebbe andare avanti con gli esempi, ma quel che importa ai fini del “Pensiero dominante” è che la politicizzazione della formazione di chi cura ha assunto ormai un carattere sistemico, istituzionale. Ippocrate è affiancato da un esercito di scienziati sociali che propugnano giuramenti di altra natura.
“Una nuova ondata di specialisti dell'educazione sta sempre più influenzando la formazione medica. Questi sottolineano una ‘giustizia sociale' che c'entra soltanto marginalmente con la salute”, scrive Goldfarb, che individua alcune cause di questa china: “Questa impostazione è il risultato di una mentalità progressista che disprezza le gerarchie di ogni tipo e l'elitismo sociale associato in particolare alla professione medica”. Gli esperti di educazione che il professore critica “si concentrano sull'eliminazione delle disparità sanitarie e sull'obiettivo di formare una generazione di medici che sia attrezzata per occuparsi di diversità culturale”, obiettivo che giudica meritorio, ma che “avviene a spese del rigoroso training nella scienza medica”. Questo è il cuore della critica di Goldfarb: per assecondare lo Zeitgeist, i medici americani promuovono una riduzione del rigore scientifico nella formazione dei nuovi professionisti. Gli aspiranti medici sono sempre più esposti alle scienze sociali, e le energie che mettono nello studio di materie che hanno il solo scopo di stare al passo con la temperie culturale sono inevitabilmente sottratte allo studio della scienza medica. Il che configura un paradosso, perché i promotori dell'allargamento dei curricula alla scienza climatica, alla giustizia sociale, alla teoria del gender, all'inclusività culturale e quant'altro non sostengono le loro tesi adducendo motivazioni ideologiche o culturali, ma dicono che la riforma medica va fatta proprio nel nome della scienza. Gli oppositori, come Goldfarb, rispondono però che le pur importanti battaglie che questi promuovono non poggiano su evidenze scientifiche paragonabili a quelle su cui si muove la medicina. Gli studi degli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute umana provano poco, troppo poco per poter essere promossi allo stesso rango dell'anatomia e della fisiologia, e il discorso vale ancora di più per il tema delle armi da fuoco. “Questo metodo si adatta perfettamente – scrive Goldfarb – all'approccio burocratico, gravido di politica, che predilige la forma sulla funzione che domina l'educazione americana a tutti i livelli. Prevalgono oggi teorie dell'apprendimento che non hanno alcuna base sperimentale per stabilire il loro impatto sulla società e sulle professioni”.
Per evitare la semplicista riduzione del problema al solito dialogo fra sordi di progressisti e conservatori, è bene chiarire ancora meglio che cosa Goldfarb non pensa e cosa non invoca. Non pensa che i cambiamenti climatici non esistano o che non siano rilevanti per la salute umana; non denigra gli oppositori della diffusione sbrigliata delle armi da fuoco e non sostiene l'inutilità delle scienze sociali. Molto più semplicemente, dice che il medico si occupa della cura dei corpi, e le facoltà di Medicina, per assolvere il loro compito, dovrebbero occuparsi di formare professionisti sempre più competenti e abili nel maneggiare gli strumenti propri della medicina. E l'esigenza è ancora più urgente in un contesto in cui l'America è a corto di specialisti. Si tratta di scegliere le priorità, come hanno osservato anche i rappresentanti della scuola di Medicina della New York University di Long Island, che non ha fatto concessioni alla climatologia in chiave medica: “Con una disponibilità limitata di tempo e molti argomenti di scienza e clinica di base da studiare negli anni formativi della scuola di medicina, i nostri docenti devono scegliere quali sono le materie fondamentali, a discapito di altre”, ha spiegato l'università di New York.
Non era difficile prevedere una reazione scomposta di un certo mondo medico di impostazione progressista – cosa che di per sé testimonia la validità della sua critica – e infatti la medical school della University of Pennsylvania si è affrettata a smarcarsi dalla posizione di Goldfarb: “Abbiamo profondamente a cuore l'inclusione e la diversità come fattori fondamentali per un'efficiente erogazione dei servizi sanitari, per la creatività, la scoperta e l'educazione permanente. Ci impegniamo per assicurare una rigorosa e comprensiva formazione medica che includa l'esame delle molte componenti sociali e culturali che influenzano la salute, dalla violenza nelle nostre comunità ai cambiamenti dell'ambiente”. La risposta non fa che alimentare l'equivoco alla base della disputa: non si tratta del posizionamento culturale e politico su alcune questioni ampiamente dibattute nel nostro tempo, ma di decidere se il medico – figura fondamentale nella vita civile, qualunque partito si voti – debba o meno assomigliare sempre di più a uno scienziato sociale.


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