Figli vs genitori su facebook

Maurizio Crippa

    Se però dicessi che ho visto di persona liceali molto svegli che, dovendo prendere un treno da Milano per il Garda, cercavano le partenze della linea per Torino, perché non hanno mai messo il naso fuori da GoogleMaps, ci sarebbe da ridere per non piangere. Ma mi darebbero del matusa che non esce di casa senza la Guida rossa del Touring nel marsupio. La verità è che “nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino” valeva finché i bambini sapevano almeno leggere i nomi delle vie. Senza intasare la rete chiedendo a Siri anche dove stanno di casa. Quanto a Instagram, la percentuale di nonni con l'ossessione dei nipoti è assai inferiore alle foto di aperitivi in terrazzo e presentazioni di fuffa libraria e di tramonti sotto il Bosco verticale (tutte uguali, cazzo, tutte uguali) con cui le X Y Z generation intasano la timeline. Eppure lo sanno usare, il mezzo. No?

    Un'altra faccenda che manda in bestia i trentenni è che gli over hanno scoperto (ovviamente in ritardo) i meme. Soprattutto ad uso di critica politica. E fosse solo il prevalere delle scritte cubitali bianche, chiaro indice “che sei sbarcato sui social con qualche anno di ritardo”, scrive la rivista online Mel Magazine. Il peggio sono le frasi lunghe, il passo da tazebao di Berkeley, la mancanza di ironia. Anzi, ad aver rotto le palle è il loro “bigger project”: “Convincerci che aver gestito mercatini di cianfrusaglie e avere fatto sesso non protetto ha fatto di loro la generazione migliore”.  Ma Mel Magazine sta a Venice, California. Noi abbiamo Osho, classe di leva 1973.

    Prima di sclerotizzarmi come un logorroico boomer, devo ricordarmi che c'è un altro e più serio aspetto della questione. Ed è la tragicomica facilità con cui gli attempati tardivi si fanno infinocchiare persino dalle bufale e persino dalle truffe, e siccome non sanno stare zitti le rilanciano, le commentano, le amplificano. Questione seria, la scarsa alfabetizzazione digitale. Grosso modo significa non saper distinguere le fonti, non saperle gerarchizzare, incrociare i dati uscendo dalla propria filter bubble, dalla propria comfort zone (gli over sono animali da divano). Questo induce anche a cadere nelle trappole. Anche se, ad esempio, una recente indagine di Lloyds Bank ha certificato che sono in maggioranza le persone tra i 18 e i 34 anni a finire vittime di frodi online. Probabilmente, dicono, perché utilizzano di più l'ecommerce. Ma non è rassicurante.

    Esiste soprattutto un innegabile ricasco politico, o di opinione pubblica, fuori dalla rete e nel mondo reale. L'influenza negativa delle fake news e delle campagne di dinsinformacija sulle elezioni del 2016 negli Stati Uniti, sul referendum della Brexit, sono state molto analizzate. Ma se è vero che i giovani sotto i 30 hanno votato in netta maggioranza Hillary Clinton, non è così facile stabilire che gli elettori più anziani abbiano scelto Trump perché ingannati dai troll di Putin: contano di più, sommate, la dislocazione geografica, le condizioni sociali e la percezione della propria sicurezza economica che per un adulto può essere molto differente che per un millennial. Poi ovviamente contano l'istruzione, la cultura. Il ceto e il censo. Cose che continuano a fare la differenza nel mondo reale. Quanto alla Brexit, l'elettorato giovane (e urbano) aveva scelto in maggioranza il remain. Ma secondo le analisi ufficiali, hanno votato di meno: un dato tipico in Gran Bretagna. Dunque il peso preponderante dei brexiter maturi ha a che fare, oltre che alle balle messe in circolo da Nigel Farage, con il fatto che sono andati a votare, loro. Che la colpa del trionfo di populisti e sovranisti non sia tutta nella incapacità degli elettori attempati di distinguere tra un tweet di Salvini e una cosa seria, o un'idiozia predicata dal blog di Grillo, lo dicono anche i dati elettorali italiani. Il Movimento cinque stelle, alle passate politiche, ha stravinto nella fascia 18-34 anni, mentre il Pd – noto partito delle classi urbane istruite e del ceto medio riflessivo, che il web e i social li usano eccome – si è tenuto il voto più anziano. Significa forse anche questo: che essere nati prima dell'èra digitale non pregiudica la capacità di interpretare le informazioni, cosa che tanti giovani digitalizzati non hanno saputo fare. La Lega di Salvini ha un elettorato più equilibrato per fasce di età, ma il 20 per cento degli under 30 ha votato per lui. Che si siano bevuti, oltre ai mojito, anche le news provenienti dalla Russia?

    A questo punto della disputa tra gli antichi e i moderni, bisogna arrivare al dunque. Il problema di sapere utilizzare i media digitali e di non trasformarsi in portatori insani di subcultura e disinformazione, che tipo di problema è? Solo generazionale? Spesso le differenze tra ciò che un ventenne e un cinquantenne mettono in rete, e di come lo propongono, sono il prodotto di diverse esperienze, interessi, consapevolezze. Non serve uno studio su carta millimetrata per sapere che non tutti i ventenni sanno distinguere il vero dal falso (non il bene dal male, ché non è argomento). Il punto è considerare quale alfabetizzazione, non solo digitale, si è avuta. Un altro sottogenere giornalistico stagionale, torna tutte le estati in zona maturità o dei test di ammissione all'università, è quello sull'analfabetismo dei giovani. Le segnalazioni degli strafalcioni, vuoi esilaranti come uno stupidario, vuoi deprimenti come una profezia, sono ovunque. Collegate alla considerazione apocalittica che l'abuso di smartphone sta rimbecillendo le nuove generazioni. Secondo l'Unesco metà degli italiani sono analfabeti funzionali. Ma il 40 per cento è over 55. Dunque si torna alla tesi iniziale: sono loro, quando mettono mano alla tastiera, a fare disastri? Tra i capolavori della maturità di quest'anno ne segnalo solo uno, perché di fonte certa: “L'inventore geniale del poeta veit”. Che sarebbe il Vate. Perché questo somaro under 50 non ha mai sfogliato un libro, ma si informa su vais (che sarebbe Vice) e compra le naic, e forse una volta ha copia-incollato un articolo sul Katar dal sito di Laims. Ecco, quest* ragazz* cui non saprei bene cosa augurare, è nato e cresciuto nell'epoca del sapere orizzontale in cui la conoscenza non è spazio né tempo né tantomeno fatica, ma solo Google. E la lista dei risultati che ti dà, se cerchi D'Annunzio, è indifferente. Può uscire un saggio di filologia, o un veit. Ma Google ha vent'anni, come lui.

    Maurizio Crippa

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"