MANIFESTO PER UN GOVERNO VIVO

Claudio Cerasa

    Il futuro del governo e i paletti di un movimento. Il perimetro degli amici e il profilo dei nemici. Il senso di una mossa e le contraddizioni di una svolta. La consapevolezza della sconfitta e le sfide alla maggioranza. E poi le confessioni sul domani, le idee sulla manovra, il progetto sul deficit, il sorteggio al Csm, gli elogi a Di Maio, le stoccate a D'Alema, il guanto lanciato a Salvini, il sogno della doppia cifra e una storia non ancora raccontata su quella domenica del 2018 che ci può dire qualcosa sulla scadenza del governo e sul destino della legislatura. Abbiamo passato un'ora con Matteo Renzi, per provare a capire qualcosa di più rispetto alla sua scissione, alla sua nuova strada, alla sua Italia Viva, e in un'ora di chiacchiere l'ex presidente del Consiglio, ed ex segretario del Pd, ha parlato di tutto e ha cercato di spiegare la ragione per cui la separazione dal Pd ha più a che fare con i nemici del Pd che con gli amici rimasti nel Pd. La chiave è tutta lì, nella vera divisione del mondo, nella frattura tra apertura e chiusura, nella capacità, in mezzo a mille contraddizioni e a mille difficoltà, di presidiare uno dei due terreni da gioco provando a far di tutto non per distinguersi con chiarezza dai vecchi amici ma per distinguersi con chiarezza dai nuovi nemici. Difficile dire dove potrà arrivare Renzi. Ma per provare a capire dove potrà arrivare il governo ascoltare l'ex presidente del Consiglio è utile.

    Senatore Renzi, ma che differenza c'è tra Italia Viva e il Pd?

    “C'è una differenza di linguaggio, di stile, di liturgie interne. E di entusiasmo. Noi siamo felici di essere una squadra, non passiamo il tempo a cercare di attaccare il compagno di partito. Non viviamo di correnti e di fuoco amico. Poi, certo, abbiamo anche dei temi di contenuto: Zingaretti valorizza la classe dirigente che era contro il Jobs Act. Mette nella sua segreteria uno che era contro la riforma del lavoro, mette alle riforme istituzionali uno che era contro il nostro referendum. Quindi ci sono delle differenze programmatiche, di contenuto. Del resto la parola d'ordine della nuova segreteria era ‘Dobbiamo chiedere scusa' per gli anni dei nostri governi. Io non chiedo scusa delle cose buone che abbiamo fatto, io non mi vergogno della stagione riformista di questo paese, io sono fiero di aver preso un paese che stava con Letta al meno 2 per cento e che abbiamo lasciato a Conte a +1.7 per cento. Ma più che sul passato, la differenza è sul futuro. Noi abbiamo creato un partito in cui la diarchia uomo donna è regola costitutiva mentre nella cultura dominante di questo paese quando valorizzi una donna c'è sempre chi si chiede: ‘Chissà cosa c'è sotto'. E quando una storia bellissima come quella di Teresa Bellanova arriva al Quirinale, la attaccano sul vestito: meschini! Abbiamo un partito in cui i coordinatori provinciali saranno spesso millennial, ragazzine e ragazzini. Se un ventenne entra in una sezione del Pd gli chiedono ‘Con chi stai?', noi dobbiamo chiedergli ‘Che cosa pensi? Che idee hai? Che cosa proponi?'. Non me ne frega niente di farti iscrivere alla mia corrente, mi interessa sapere come vuoi cambiare il mondo. Ecco, con una battuta possiamo dire che noi non stacchiamo la spina al governo: noi stacchiamo le correnti, non la corrente. Naturalmente dico queste cose con una punta di amarezza perché avrei voluto cambiare il Pd e non ci sono riuscito. Paradossalmente la nostra azione di governo ha cambiato l'economia italiana più di quanto la nostra segreteria abbia cambiato il Pd. Ma forse le correnti del Pd sono ineliminabili se è vero che costituiscono il cruccio per tutti i segretari autenticamente riformisti. Detto questo, caro direttore, il mio avversario non è il Pd: il mio avversario è Salvini. Siamo un'altra cosa rispetto al Pd, abbiamo un altro stile, abbiamo un altro entusiasmo. Ma il nostro avversario è Capitan Fracassa Salvini, non Zingaretti. E forse anche il Pd senza più Renzi dentro vivrà meglio e senza alibi, mettiamola così”.

    Non si può non ricordare però, senatore, che quello che lei ha fatto è in contraddizione con molte idee che lei ha rivendicato negli ultimi anni. Ricorda? “Dobbiamo dire no ai partitini”, “dobbiamo coltivare a tutti i costi la vocazione maggioritaria”, “dobbiamo ricordare che quando si perde si resta dentro, si lotta e si va avanti e non si scappa via con il pallone”. Come spiega anche a se stesso l'avere cambiato idea su tutti questi punti?

    “Le critiche sono oggettive, certe. Abbiamo semplicemente dovuto cambiare idea, prendendo atto della realtà. Fare politica senza fare i conti con la realtà è la negazione della democrazia e della serietà: tu sei davanti a un mondo che cambia, non puoi interpretarlo sulla base dei tuoi desideri ma di ciò che hai davanti. Il principio di realtà è il fondamento della serietà. Io contesto chi vive di ideologia e non si arrende davanti alla realtà. Tutto cambia il 4 dicembre 2016. La mia sconfitta, certo. Ma dopo aver personalizzato la campagna elettorale, non personalizziamo anche l'analisi del voto. Io perdo, certo. E vado a casa, certo. Ma chi perde è innanzitutto l'idea che l'Italia possa diventare un luogo di stabilità politica. Tra il 2016 e il 2017 arriva uno tsunami sulla politica mondiale. E oggi paesi che erano strutturalmente stabili non lo sono più: il Regno Unito e la Spagna erano modelli di alternanza, oggi sono modelli di caos.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.