Un califfato terapeutico per curare le masse malate Un pamphlet spiega il passaggio dell'élite da regolatore del mercato delle idee a psicoterapeuta dei popoli. Macron, Merkel e i nuovi re taumaturghi

    Giuseppe Gracia è un giornalista, romanziere e comunicatore svizzero, di lingua tedesca, che lo scorso anno ha pubblicato un pamphlet intitolato Das therapeutische Kalifat, il califfato terapeutico, che è diventato un piccolo caso editoriale in Germania. La felice intuizione al centro dell'argomento di Gracia è che in occidente il potere, politico e culturale, ha assunto la forma della psicoterapia. Sempre più spesso chi esercita l'autorità non propone idee perfettibili da discutere e vagliare in una logica di dibattito e competizione fra visioni diverse, ma si pone come psicoterapeuta di malati da curare. Il rapporto governanti-governati si è così trasformato in un rapporto medico-paziente. La formula del califfato terapeutico, che Gracia riprende dal filosofo Michael Rüegg, evoca naturalmente lo “stato terapeutico” dello psichiatra Thomas Szasz, che all'inizio degli anni Sessanta parlava di una alleanza fra potere e scienza per dare vita a un regime dove non solo alle persone viene detto cosa fare, ma anche cosa pensare e come sentirsi. “Nello stato terapeutico – scriveva Szasz – la cura è dettata e giustificata dalla diagnosi della malattia del paziente e dalla prescrizione del proprio rimedio per questa. Oggi lo stato terapeutico esercita l'autorità e usa la forza nel nome della salute”.

    Il califfato terapeutico ha un rapporto di parentela con quell'idea, e l'intrepida redazione del “Pensiero dominante” ha raggiunto Gracia per fargli alcune domande sulla sua tesi. C'è un episodio specifico all'origine di questo libro, racconta l'autore. “Qualche anno fa ho conosciuto un neurologo – dice Gracia – che sosteneva con argomenti scientifici che il cervello dell'uomo e della donna sono molto diversi fra loro. Mi sembrava un argomento di grande interesse, e gli ho chiesto se volesse parlare pubblicamente delle sue osservazioni. Lui mi ha guardato sbigottito, dicendomi che non era pazzo e non voleva perdere il lavoro”. Gracia ha poi incontrato molti altri medici e scienziati reticenti su una serie di temi troppo sensibili per essere affrontati in pubblico, anche se in modo descrittivo e suffragati dai dati. “Ho pensato che quando gli uomini di scienza non parlano più in pubblico di cose che studiano, allora c'è un problema”, e questo problema è appunto un potere terapeutico che seleziona i termini ammissibili nello spazio pubblico e denuncia tutti gli altri come malattie da curare, storture da raddrizzare.

    Il cuore della tesi di Garcia è questo: “C'è una élite che non vuole più il discorso democratico, non vuole più il dibattito delle idee, ma vuole educare le persone. E quando dico educare non intendo allargare la mente, che era appunto uno dei compiti dell'élite, ma indottrinare. Siamo abituati a conoscere sostanzialmente due forme totalitarie. La prima è religiosa, ed esempi di questa si possono trovare nel mondo islamico ma anche in quello cristiano, almeno fino a pochi secoli fa. La seconda forma è quella dello stato, e l'esempio più immediato è quello della Cina. Ora si sta imponendo una nuova forma, quella terapeutica, incarnata da politici come Emmanuel Macron o, in massimo grado, Angela Merkel. Invece di offrire programmi politici, ricorrono al linguaggio della terapia. Sono motivatori o confessori delle nazioni. Non trattano gli oppositori come competitor in un franco dibattito, ma li tacciano di razzismo, dicono che sono irrazionali, pericolosi, eversivi, folli”.

    Il problema della dialettica messa a fuoco da Gracia è che tende a dividere la società in sani e malati. Quando uno non si conforma al canone accettato su certi temi – vedi gender, immigrazione, ambiente, Unione europea – “questi leader certamente non ricorrono a misure coercitive, ma offrono una terapia”. L'affermazione di forze populiste è per Gracia la razione al califfato terapeutico, e non è una novità di oggi: “Quando Schröder ha spostato la Spd verso il centro, la reazione è stata il rafforzamento dell'estrema sinistra della Linke. Lo spostamento verso sinistra di Merkel ha invece incoraggiato la Afd. Si tratta di reazioni diverse alla politica come terapia”. Le persone religiose, e che non lo sono solo privatamente ma che leggono la realtà secondo i criteri della fede, “non sono avversate ma vengono sistematicamente trattate come irrazionali, e perciò problematiche”, dice Gracia, che vede avanzare il califfato terapeutico anche all'interno del perimetro cattolico: “Dio oggi è spesso un dio terapeutico, e anche la chiesa è tentata dall'abbandono della missione nel nome dell'assimilazione alla società terapeutica. Certi vescovi parlano come psicoanalisti, non come pastori”. Il politicamente corretto non è che la forma in cui il califfato terapeutico si manifesta: “L'idea che c'è dietro è il relativismo politico. In un contesto in cui tutte le culture hanno formalmente lo stesso valore, l'occidente si è caricato addosso tutte le colpe che gli vengono dal suo passato imperiale, dal colonialismo, dai fantasmi dell'oppressione sugli altri popoli, ed esercita forme di espiazione”. Gracia non fa il tifo per un irrealistico smantellamento della struttura che, secondo la sua lettura, regola la politica contemporanea. Semplicemente si augura un ritorno alla democrazia liberale intesa come marketplace of ideas, un senso che nella sua Svizzera è ancora forte anche per via degli strumenti della democrazia diretta a disposizione dei cittadini. Basterebbe un po' di liberalismo, anche senza una rivoluzione.