Il rapporto medico-paziente applicato alla politica Un piccolo saggio in tedesco illumina un tema globale

    S i potrebbe essere tentati di ridurre il pamphlet Das therapeutische Kalifat e il suo autore, il cattolico svizzero Giuseppe Gracia, a un saggio catacombale per minoranze reazionarie, roba per una nicchia di invasati. Facendolo, si cadrebbe però proprio nell'errore che questo libretto denuncia. Se non è dunque un'affinità ideologica a imporre di prendere sul serio le argomentazioni di Gracia, sarà almeno la logica a comandarlo. L'idea di un potere terapeutico che divide arbitrariamente il mondo in medici e pazienti, dunque in sani e malati, non è nuova, e si è affacciata in occidente in modo organico grazie all'opera dello psicanalista ungherese-americano Thomas Szasz, che negli anni Sessanta ha individuato e criticato lo stato terapeutico. Gracia ne racconta la forma contemporanea, che quel progetto ha portato a compimento. L'establishment politico e culturale, Gracia dice in un'intervista qui accanto e scrive in un testo più in basso, ha ormai affermato il suo ruolo curativo. Non dirime idee, non regola rapporti fra mondovisioni competitive – secondo lo schema liberale classico – ma si occupa di curare i malati che non si conformano alle norme ideologiche vigenti. Si tratta di una degenerazione dello schema liberale. I programmi politici non si testano sulla volontà popolare ma si somministrano come indiscutibili terapie: chi le accetta è un essere razionale, chi le rifiuta o fa domande una specie di anti-vaxx dell'agone politico. L'idea esplorata da Bloch del “tocco reale” che guarisce dalle scrofole trova una nuova vita nella scena tecnocratica. Secondo Gracia, Macron e Merkel sono le incarnazioni supreme di questo regime democratico che ha però fatto proseliti ovunque, anche nella chiesa cattolica.