
Come raccapezzarsi nel mondo pazzo e bello della web art
Se internet ha aperto l'èra della disintermediazione, l'internet art ha creato un grosso problema alle gallerie e ai musei. La net art (vezzeggiativo del fenomeno dell'arte via internet) si propone non tanto come soluzione tecnologica per la creatività degli artisti, quanto come piattaforma per collegare l'artista e il suo spettatore, che poi è l'assunto di base dell'estetica contemporanea. La definizione di net art è molto ampia, perché dentro al collo di bottiglia della rete, che avvicina le lontananze tra l'artista e i suoi fruitori, c'è di tutto: gli esperimenti visivi e sensoriali dell'arte cinetica, la performance art, l'arte concettuale, il dadaismo e il situazionismo. Si va da installazioni artistiche online a elementi di codice informatico a collezioni di frammenti di contenuti di dischi rigidi provenienti dai quattro angoli della rete a esperienze tridimensionali e via dicendo. Il ruolo dello spettatore è spesso performativo, e i musei, all'improvviso, sembrano vecchi.
E' difficile però raccapezzarsi, e a questo servono i cataloghi. Il migliore, da poco uscito, è “The Art Happens Here: Net Art Anthology”, 440 pagine che cercano di mettere insieme un singolo tema unificante: l'idea di base è che internet sia un unico processo sociale, che non si svolge soltanto nel cosiddetto digitale, e che l'intera esperienza della rete sia una grande opera performativa. Tutto accomunato sostanzialmente dall'idea che la diversità di pratiche sia riconducibile alla rete. Nelle 440 pagine di questo catalogo ci sono 100 lavori schedati e commentati, con un parterre di critici di livello: Michael Connor, Aria Dean, Manuel Arturo Abreu, Josephine Bosma, Ceci Moss. (E, prima che pensiate a un refuso tipografico, il dominicano abreu vuole che il suo nome e cognome siano scritti sempre tutti in minuscolo: anche i critici hanno le loro idiosincrasie). Le opere descritte vanno da una serie di storie a puntate realizzate nel 1995 in Html per il browser Netscape (ricordate?) ad artisti che hanno usato la stampa 3D per cercare di ricreare le opere d'arte distrutte dall'Isis in Ira q e in Siria.
Il catalogo è stampato dalla newyorchese Rhizome di Mark Tribe, una organizzazione non profit nata nel 1996 per supportare la net art. All'inizio era una newsletter fatta da Berlino, dove Tribe viveva, e poi è diventata pian piano qualcosa di molto più concreto. L'obiettivo di Rhizome è quello di preservare l'arte che nasce in formato digitale (si va dal codice sorgente di software artistico a veri e propri manufatti virtuali) oltre che organizzare mostre, promuovere creativi, cercare di dare un senso all'esperienza artistica.
“The Art Happens Here”, sottotitolo Net Art's Archival Poetics, è curato da Michael Connor, che è direttore artistico di Rhizome, e da Aria Dean, assistente curatrice. E' anche il catalogo critico di una mostra che si è tenuta quest'anno al New Museum di New York. Ed è l'ambizioso tentativo di creare un canone per mettere non solo ordine nel disordine creativo oltre che digitale, ma anche creare delle gerarchie, dare dei valori, cercando di esprimere un'etica prima ancora che una estetica.
Il “New Museum” di New York è nato nel 1977, mentre la raccolta di “The Art Happens Here” comincia nel 1985, e include non solo siti web e software ma anche oggetti fisici tradizionali reinterpretati con un altro sguardo. La strada compiuta è lunga, e non offre alcuna soluzione di continuità con la pop art e i movimenti radicali fioriti a New York a partire dal dopoguerra. (a.dini)


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