Un Foglio internazionale
Nell'estate del 1987 mi sono diplomato ad Austin in Texas, poi sono andato studiare a Yale e successivamente ho frequentato le migliori università al mondo”, scrive l'accademico Daniel Markovits sull'Atlantic: “Oggi insegno a Yale e i miei studenti ricordano me stesso da giovane: sono il prodotto di genitori benestanti e di grandi università. Trasmetto loro le lezioni che i miei insegnanti hanno trasmesso a me. La nostra prosperità e la nostra appartenenza alla casta deriva dall'idea della meritocrazia”. Per molti anni la meritocrazia era sembrata la soluzione ideale per ridurre il privilegio ereditario e stimolare la mobilità sociale, ma si è rivelato il contrario. Questo sistema esclude chiunque è al di fuori di un'élite ristretta, e le migliori università in America continuano a privilegiare gli studenti figli di genitori benestanti che tendono a ottenere dei voti più alti agli esami di ammissione.
La meritocrazia ha creato una competizione in cui vincono sempre i ricchi. Ma esattamente cosa vincono? Anche i beneficiari della meritocrazia ne soffrono le conseguenze. Coloro che arrivano ai vertici devono continuare a lavorare intensamente per fare fruttare l'investimento nella loro istruzione. La meritocrazia impone un costo enorme innanzitutto per i ricchi, quindi è sbagliato pensare che sia sufficiente penalizzare le élite per rendere il sistema più equo. Uscire dalla trappola della meritocrazia, scrive Markovits, è un vantaggio per tutti. I membri dell'élite sono sottoposti a grande pressione fin da piccoli, tanto che i bambini devono affrontare delle prove scritte e dei colloqui per essere ammessi negli asili più prestigiosi. I figli degli aristocratici un tempo si godevano i propri privilegi, i bambini meritocratici invece calcolano il loro futuro: pianificano, fanno schemi, vengono addestrati a presentarsi bene in un clima di ambizione, speranza e preoccupazione. Agli allievi dei licei più prestigiosi vengono assegnate tra le tre e le cinque ore di compiti al giorno, lavorano anche di notte e questo comporta un enorme costo sociale: molti di loro soffrono di depressione, e il consumo di alcol e di droga è superiore rispetto alle generazioni precedenti. Questi sforzi enormi preparano gli studenti per la vita professionale: la competizione sia per le università sia per i lavori più ambiti è molto superiore al passato, e non sono ammessi privilegi. Nelle grandi aziende chi occupa i ruoli più prestigiosi deve lavorare più di tutti gli altri con tutto lo stress e l'ansia che ne deriva. L'élite non dovrebbe essere compatita dal resto della società, però allo stesso tempo è sbagliato non riconoscere i costi della meritocrazia per la casta. I ricchi continuano a dominare la società, ma devono sforzarsi e lavorare più di tutti gli altri. Le tesi che contestano il privilegio degli aristocratici – conclude Daniel Markovits – non si applicano a un sistema basato sulla produttività e sull'efficienza”.


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