PERCHE' FERMARLO
Simpatico o simpatica è aggettivo tremendamente scivoloso, non descrive veramente, ammicca e poi tradisce. Lo usiamo quindi, appropriatamente e anche sinceramente, per Matteo Salvini. Non ci crederete, ma da vicino, a telecamere spente e cellulari in tasca, è, appunto, simpatico. E anche capace di una forma non posata, non paternalistica, di contatto diretto con chiunque incontri. Saluta tutti senza far scene, stringe mani anche se si imbatte in qualcuno sconosciuto in un corridoio e anche se non è in favore di riprese. E in quelle occasioni non fa domande da protettore degli italiani oppressi, è davvero empatico ma non piagnucoloso. Deve avere da qualche parte degli accenni di bontà, qualcosa di non proprio espresso. Non è certo un buonista, lo si dice per evitare sue querele. Si direbbe invece che sia un ex buono, frustrato e quindi banalmente incattivito. Ma quando dice, in pubblico, le sue cosacce si sente un groppo di dolore o di imbarazzo o di rimorso nella sua voce. E' un cattivista, perché gli ismi sono elaborazioni intellettuali, costruzioni ideologiche, schermi utili per l'operatività pubblica. E' un cattivista perché sottopone a impulsi volontari e studiati la manifestazione delle sue emozioni, tanto da renderle un po' stonate, perché è difficile cavalcare gli ismi senza essere scoperti, ci vuole stoffa da attore, grande recitazione e quindi grande naturalezza, mentre lui, anche quando sale baldanzoso sul palco di qualche piazza, sembra sempre un po' timido, in cerca di qualche approvazione. Facile alla commozione, più guitto che attore, fino a caderci nel più scontato dei modi, parlando dei figli in pubblico, dopo la storiaccia indifendibile del famigerato giretto in moto d'acqua e soprattutto della successiva tentata repressione dei diritti di un giornalista, peraltro colpito lui sì con un tentativo di esposizione al pubblico ludibrio o quantomeno all'odio dei tanti salviniani nervosi in circolazione, fino alla battuta rivolta successivamente al giovane giornalista e di cui il ministro dovrà vergognarsi per lungo tempo o pentirsi, recitando poi un buon numero di rosari, sui “bambini che gli piace tanto filmare”. Però, e non valga come esimente, anzi se leggete bene è un'aggravante, nessuno sinceramente cattivo direbbe “zingaraccia”, insulto dal suono perfino infantile, termine sì certo offensivo e con un palese sfondo razzistico, ma che sembra costruito con una dose di azzardo temperato da riflessione, e non solo per evitare di incorrere in sospensioni dell'account social. Zingaraccia è un'offesa calibrata, un test, un tentativo di saggiare l'ascolto e vedere se il risultato arriva. E' l'abitudine al cattivismo, il lavoro su sé stesso per riuscire a essere davvero nel ruolo, a creare le sue offese, le cose orrende che dice e quell'abitudine e quel lavoro, strettamente legati all'attività di continuo monitoraggio social dei suo gruppo di consulenti strategici, ci portano ai passaggi successivi, a cominciare dal disprezzo per le acquisizioni del saper vivere, della convivenza regolata, delle buone maniere e delle forme e della sostanza dei sistemi politici democratici e liberali.
Ha cominciato così la sua ascesa verso il consenso. Lui faceva il rompi-regole, il monello, l'opportunista, mentre tutti, nel 2011, si acconciavano a una soluzione umile e decorosa per venir fuori dalla peggiore crisi di credibilità della politica e delle istituzioni, quella di una maggioranza, in cui la Lega era pure presente, perfettamente stabile numericamente ma costretta a lasciare il governo da essa espresso dal crollo della credibilità finanziaria del paese. Un trauma per la rappresentatività democratica che la comunità sociale e politica italiana non ha neanche lontanamente elaborato, anzi non lo ha ancora neppure narrato terapeuticamente, preferendo la fuga verso racconti di comodo, tra complotti e fantasie su operazioni decise oltreconfine e vittimismi e aggressioni ai danni del nostro patrimonio industriale inventate sul momento e poi esaltate nella versione sovranista (completamente riscritta e inventata ex post) dei fatti di quei mesi. Qualcosa di simile è stato già scritto ma vale la pena di tornare sulla tesi: Salvini incarna (con l'aggiunta di tutti gli orpelli cattivisti, dai quali come si diceva promana una sensazione, aggravante e non scusante, di posticcio, di recitato) la rimozione nazionale di quel trauma. Gli italiani avevano votato un governo di centrodestra nel 2008 e lo avevano fatto più convintamente che nelle due precedenti vittorie del fronte guidato da Silvio Berlusconi, perché nel 2008 non si trattava più di un tentativo, come nel 1994, o di una rivincita, come nel 2001.
Era una scelta consapevole e politicamente fondata. Poi tutto è saltato e non ne è stata data una spiegazione comprensibile, almeno nei termini in cui una spiegazione avrebbe permesso agli elettori di razionalizzare la vicenda nata prima con il loro voto per il centrodestra e poi con le dimissioni (senza una mozione di sfiducia) di un governo eletto e sostenuto da un'ampia maggioranza.


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