La tragedia di un uomo simpatico

Con la guerra anticasta, le iperboli sui costi della politica e la colpevolizzazione dei migranti la cattiva coscienza nazionale si dava una ripulita. E Salvini ne è stato l'incarnazione

    E se Berlusconi accettava la prospettiva del governo di Mario Monti, votandogli la fiducia, per proporre solo molto tempo dopo la tesi dei ripetuti golpe ai suoi danni decisi all'estero o nei palazzi italiani, Salvini sceglieva la strada della rimozione immediata della questione, con una strategia che lo avrebbe portato a guidare la Lega e poi l'intero fronte sovranista, ma la parola ancora non si era affermata, e quindi a trasformare l'intero centrodestra in una componente di quel fronte. E' stato definito per questo un campione dell'irresponsabilità, ma c'è un di più che ha a che fare con qualche forma di psicologia di massa: Salvini era stato immediatamente, e appunto in modo del tutto irresponsabile, il tetragono negatore della situazione reale in cui si trovava l'Italia. E questa non è stata solo una scelta di opportunismo per schivare il peso di una responsabilità politica, ma in più, e cosa ben più importante per la psicologia degli elettori, con quel comportamento e con quella opposizione pressoché solitaria ha dato da subito una specie di assoluzione all'ingrosso per la cattiva coscienza nazionale. Era già successo, con la guerra anticasta (per attribuire a qualcuno le colpe dell'inefficienza politica), con le iperboli sugli sprechi e i costi della politica (per additare colpevoli cui attribuire la responsabilità del debito pubblico, dimenticando i grandi capitoli di spesa, come previdenza, sussidi e sanità), e succederà dopo con la colpevolizzazione dei migranti: la cattiva coscienza nazionale si dava una ripulita, sebbene molto superficiale, attraverso quegli strumenti. Salvini ne era l'incarnazione, tanto forte da reggere, successivamente, a vicende tipicamente anticasta, come la condanna e il successivo accordo a carico del suo partito, per l'uso scorretto di milioni e milioni provenienti da rimborsi elettorali. Anche la campagna anticasta era qualcosa di strumentale, una moda. Fatto il suo corso ha lasciato in pace la Lega, con le sue rate quasi secolari per rimborsare lo stato. L'incarnazione del tentativo autoassolutorio degli italiani non veniva scalfita da fatti contingenti.

    Attenzione però, e qui si cominciano a vedere i segnali dei contraccolpi della strategia salviniana: della cattiva coscienza gli elettori italiani si vogliono sì liberare ma ne provano anche vergogna. E il Salvini che ha incarnato quello spiazzamento delle responsabilità, che ha permesso di trovare una via d'uscita, pure con la sbruffonaggine del “prima gli italiani” dal senso di superiorità che emanava da un Mario Monti, ora potrebbe diventare un personaggio con cui non ci si vuol più far vedere in giro, uno che ha a che fare con un nostro passato di cui ci vergogniamo. La trucezza è servita a lavarci dei nostri errori collettivi, ora però se ne vada e si porti via quei ricordi. Non sta succedendo se non per minimi accenni, i segnali visibili sono quelli noti, ma qualcosa sottotraccia comincia ad avvertirsi in una certa stanchezza nella comunicazione, nella ripetitività delle formule, nel cattivo gusto ostentato (che alla fine scoccia anche i bagnanti del Papeete).

    Il cattivismo salviniano si esprime in pubblico, in varie forme. Lo conosciamo e individuiamo nelle classiche manifestazioni di piazza, raramente in Parlamento, più spesso nelle camminate tra microfoni o in conferenze stampa con un minimo di organizzazione, molto frequentemente nelle dirette o nelle registrazioni affidate a Facebook o nel breve spazio dei suoi tweet e in caduta a tutti gli altri social. Nei diversi casi sono diverse le modalità espressive. In piazza è terribilmente sciatto nell'esposizione di programmi politici. Niente più, per la parte economica, di un liberalismo da terza elementare, fatto sostanzialmente della denuncia degli eccessi burocratici ai danni di chi vuole intraprendere (la scoperta dell'America), della promessa, mai realizzata, di abbassare le tasse, di un certo piglio nel garantire che gli investimenti in opere pubbliche e infrastrutture verranno realizzati. A questo poverissimo apparato liberale affianca poi una altrettanto basica strumentazione nelle politiche sociali, compendiate nella convinzione che l'età pensionabile sia una variabile indipendente rispetto all'equilibrio del sistema previdenziale, all'equità, alla sostenibilità. E nell'ammiccamento alle follie anti euro, nella chiave estrema, quella che indica la possibilità di una specie di bengodi realizzato creando moneta, una scuola, per modo di dire, che diffonde le sue scempiaggini su internet e alla quale Salvini, difensore strenuo di consiglieri economici come Claudio Borghi e Alberto Bagnai, quelli che fantasticano cambi di valuta come noi programmiamo un fine settimana in montagna, ha sempre mantenuto il suo sostegno. E' affascinato, evidentemente, dalle soluzioni regalate, miracolose, che non comportano lavoro né fatica. E' un Pinocchio che cerca il gatto e la volpe. Le pensioni sono in equilibrio a prescindere, e distribuire moneta finta è come distribuire ricchezza vera. Aveva fatto di Elsa Fornero un idolo negativo, fin dai giorni del governo Monti per la verità, ma ora anche quella fonte di insulti e di caratterizzazione per il salvinismo d'attacco si sta esaurendo, non fa partire più l'applauso, se non quello dei fedelissimi, non fa nascere proposte alternative, dopo che tutto si è impantanato nella prosaica quota 100, per di più concessa su durata limitata.

    Piazze e conferenze stampa hanno segnato il crollo della sua capacità di tenere la scena nei giorni più difficili di agosto, quando stava per lanciare l'offensiva per far saltare la maggioranza gialloverde e quando si è trovato, per le necessità di creare un caso politico, a dover perfino alzare l'intensità della sua volgarità, superando livelli già da record storico. Non solo quindi i classici sui porti chiusi e sul qui non si sbarca, accompagnato da insulti all'Europa. Non bastava quello, allora ha ripescato la mussoliniana invocazione dei pieni poteri, rivolgendosi direttamente al popolo con cui crede di avere un rapporto diretto e di cui crede di conoscere le esigenze profonde, e si è dedicato a insultare direttamente giornalisti indicandoli personalmente con chiarezza inequivocabile, nella fatale serie di incontri con i malcapitati inviati dedicati alle sue vacanze politiche, ospitati al Papeete Beach. Fino a farsi prendere talmente la mano da sparare una mozione di sfiducia nientemeno che al presidente del Consiglio, e poi, gradualmente, depotenziarla lui stesso mentre in Italia si tagliavano cocomeri per Ferragosto. Una mozione trattata come una moneta alternativa, di quelle che si stampano a volontà e secondo lui e i suoi consiglieri creano ricchezza, un modo per mandare Conte in pensione anticipata ma creando posti di lavoro.

    E' il mondo magico e tragico dei minibot che ha creato la minimozione per la minisfiducia. Sono fatti noti e ampiamente raccontati. E' la reazione di Salvini all'emozione sollevata da questi suoi attacchi inusitati e dalle evocazioni di concetti completamente estranei alle regole costituzionali e democratiche a colpire e a lasciare un segno politico. Non ha dato il minimo segno non si dica di resipiscenza ma proprio di comprensione, anche minima, anche parziale o strumentale, della gravità di ciò che aveva detto (d'altra parte era una minimozione no?). Il piglio e le frasi mussoliniane, senza che se ne faccia un parallelo storico fuori luogo, erano evidenti e voluti. E lui ci si crogiolava, anziché cominciare a chiedersi se avesse esagerato. Suscitando forse ammirazione, ma in una quota minoritaria degli elettori, certamente paura e senso di distanza anche tra alcuni dei suoi seguaci oltre ai suoi temporanei alleati a 5 stelle, esponenti dell'altra metà del populismo ma non intenzionati a essere ancora di più pappati e digeriti dall'alleato dell'accordo di governo.