Il cialtronissimo

    Al bar dell'autogrill [siamo ancora nel Sorpasso di Dino Risi] Bruno trova il modo di scroccare dei soldi a Roberto, che nella sua ingenuità crede di avere a che fare con un semplice scroccone. Non ha colto che il denaro non è il fine del cialtrone. Nulla può arrestarlo, né la momentanea ristrettezza economica, né il bagno degli uomini apparentemente occupato (Roberto, goffo, spinge la porta invece di tirarla), e pertanto si dirige senza alcuna esitazione verso quello delle donne: le regole fissate in astratto da altri sono solo vani tentativi di limitare la sua divina libertà. Nel frattempo la vita continua a inviare avvertimenti al povero Roberto, sotto forma di avvenimenti simbolici: infatti resta chiuso nel bagno, perché si rompe la maniglia. Avere a che fare con un cialtrone può essere molto pericoloso se non si è più che preparati.

    Così per ride

    Ripartiti, il giovane ingenuo e il suo psicopompo incontrano un vecchietto che chiede un passaggio. Bruno fa per fermarsi, ma quando quello si avvicina riparte ridendo. Roberto si scandalizza e chiede ragione di questo comportamento gratuito e crudele. Bruno cade dalle nuvole, incredulo che qualcuno possa attribuirgli intenzioni malvagie, e spiega la sua personalissima concezione dell'umorismo: “Così per ride, per vederlo arrancà”. Il cialtrone è incapace di reale empatia, poiché egli è il centro del mondo e il suo mondo è fatto solo da se stesso: tutto il resto, oggetti e persone, sono semplici accidenti funzionali, più o meno intercambiabili.

    Preso a bordo il vecchietto, i tre ripartono. Bruno si fa offrire un mezzo toscano come succedaneo delle sigarette e poi lo getta via pochi secondi dopo (egli non ha tempo di curarsi della possibile mancanza di riguardo nei confronti di chi gliel'ha offerto), non appena deve impegnarsi in una guida più veloce. Quasi subito Roberto deve fermarsi a vomitare e il passeggero chiede a Bruno: “Ma se je fa male, perché viaggia?”, ottenendo in risposta un: “Boh, che ne so. Ha voluto venì lui”. E in questa affermazione non c'è nessuna menzogna, perlomeno nessuna consapevole. Bruno è davvero convinto che sia stato Roberto a voler venire, poiché è così concentrato su di sé da non poter neppure concepire di essere stato troppo invadente (come troppo qualsiasi altra cosa, del resto) e di aver, magari, trascinato il prossimo in una situazione inadatta: egli agisce solo in buonafede e per il bene; se qualche male ne discende, non è imputabile a lui.

    Dopo una sosta in un ristorante di Civitavecchia, dove Bruno ordina della zuppa di pesce anche per Roberto senza informarsi se gli piaccia o meno, si punta in direzione dei parenti di Roberto che stanno dalle parti di Grosseto. 101 Lungo la strada il futuro avvocato racconta della sua infanzia, quando era innamorato di zia Livia. Arrivati dagli zii, sulla cima della collina, Bruno balza dall'auto e inspirando a pieni polmoni proclama: “Gagliarda la campagna! Io a vivere qui ci metterei subito la firma”. L'entusiasmo lo possiede di nuovo; la divinità è nuovamente in lui e lui si appresta a comprendere (nel senso etimologico di prendere dentro di sé) tutta la realtà che lo circonda.

    Comincia subito a rivelare all'ingenuo Roberto che il dipendente dello zio, Occhiofino, è gay. “Occhiofino-Finocchio, è chiaro, no?” e con tonitruante passo da conquistatore si lancia a espugnare gli zii. Senza nemmeno rendersene conto Bruno segna un autentico rito di passaggio: Roberto, grazie alla frequentazione con la sua ombra, con il suo doppio, con il suo sé oltre lo specchio, compie il passaggio dalla giovinezza all'età adulta, attraverso la profanazione dei vecchi idoli da ragazzo, non più corrispondenti alle necessità dell'uomo nuovo che sta sorgendo in lui.

    Bruno saluta la zia di Roberto dicendo “Enchanté” (conosce le lingue ed è uso di mondo) e subito ne elogia i capelli corvini di discendenza spagnola (ha molto viaggiato e pertanto conosce), quindi nota i mobili antichi e già immagina quanto potrebbe guadagnarci rivendendoli (è un uomo pratico), infine comincia a parlare con lo spiccato accento toscano dei suoi ospiti (stabilisce una vicinanza). Roberto intanto vaga per la casa rievocando l'infanzia e si lascia intenerire da quelle atmosfere che realizza essere perdute per sempre, ma quando torna nel soggiorno trova Bruno che racconta agli zii, compresa zia Livia, facendoli sbellicare, della disavventura con la passeggiatrice in cui è incorso Roberto sotto lo sguardo di Valeria. Il cialtrone quando sa di poter ottenere un applauso da una platea favorevole è come certe vecchie volpi da palcoscenico che non conoscono amici di sorta e non guardano in faccia nessuno.

    Più tardi, mentre Roberto è incastrato nel soggiorno a conversare con tutta la famiglia e soprattutto con il noiosissimo e fascista cugino Alfredo, avvocato di provincia e di successo, spaventosa visualizzazione del futuro da leguleio che lo attende, Bruno al piano di sopra gioca sul filo della seduzione con zia Livia, truccandole gli occhi e sciogliendole i capelli. Questa è veramente una scena di alto valore simbolico, in cui il cialtrone fa irrompere l'entusiasmo divino che è in lui nella grigia esistenza di un principio femminile intristito perché abbandonato a se stesso, fecondandolo e riportandolo – ancorché fuggevolmente – al suo splendore. Quindi, ridisceso al pianterreno, Bruno, osservandone i lineamenti e i tic, si accorge che il cugino Alfredo è in realtà il figlio del fattore, con cui la zia ha avuto un'evidente distrazione. Qui il cialtrone determina l'irreversibile perdita dell'innocenza di Roberto che a questo punto, integrata la sua ombra, potrà accedere, dapprima con timidezza, poi con più convinzione, a una più matura virilità.

    A questo punto Bruno s'è stufato e, dimentico che solo tre ore prima avrebbe messo la firma per vivere lì, decide che devono ripartire. “La campagna… ma che sei matto?” (il puer è incostante per definizione) e con il fido Roberto al fianco riprende il viaggio, mentre zia Livia, alla finestra, con gesto emblematico, si lega di nuovo i capelli.

    La divisa dei marines

    Si arriva a un bivio, si tratta di decidere se tornare a Roma o proseguire per il vicino Castiglioncello. La discussione è breve e virtuale: il cialtrone non contempla neppure l'ipotesi che si possa pensarla diversamente da lui e quindi punta su Castiglioncello, salvo lungo la strada impegnarsi in una gara di velocità con una Seicento, rischiando di farla uscire di strada, per il puro gusto del gesto gratuito, per l'ebbrezza di fare qualcosa solo perché si ha il potere di farla.

    Arrivati a Castiglioncello si fermano a cena in un ristorante estivo, il Cormorano, affollato e pieno di musica, dove Bruno incontra un certo Commendatore a cui deve dei soldi. Bruno non ci pensa un istante: molla Roberto per cenare con il cumenda. Il suo animo di situazionista ha colto subito qual è la cosa da fare e pazienza per chi gli sta attorno. Questa capacità di improvvisare un'occasione di nuocere al prossimo senza alcuna premeditazione è tipica del cialtrone.

    Il povero Roberto, infatti, è costretto a ripiegare a piedi sulla stazione, dove scopre che non ci sono treni per Roma fino alla mattina. Nella solitudine della stazione notturna Roberto ha anche tempo di mettere seriamente in discussione le sue scelte di un futuro simile a quello di zio Alfredo. Tornato al ristorante a piedi, constatata l'assenza di treni, Roberto si ubriaca con Bruno e addirittura guida l'auto dell'amico, ubriaco, indossando gli occhialoni con gli occhi sporgenti e i baffoni: risucchiato nella temperie cialtronesca, si lascia convincere ad andare e chiedere ospitalità per la notte a Gianna, l'ex moglie di Bruno.

    Mentre Gianna, abituata alle stranezze dell'ex marito, prepara la camera per i due disgraziati, Bruno racconta che si sono sposati a vent'anni a causa della gravidanza di lei e che lui non ha mai dato al monsignore che doveva occuparsi dell'annullamento del matrimonio le seicentomila lire che lei gli aveva fornito a quello scopo. La ragione ufficiale è che non si è sentito di compiere un gesto così definitivo e non il fatto che ha dissipato il denaro. Poi Bruno tenta, subito fermato da Gianna, di indossare i panni del padre preoccupato per la figlia che non è ancora rientrata nonostante l'ora tarda. Vista la malaparata Bruno esce per un istante di campo lasciando a Gianna la possibilità di illustrarci un altro lato della personalità cialtronesca. La donna chiede a Roberto se conosce Bruno da tempo e alla sua risposta di averlo conosciuto solo quella mattina gli conferma che allora conosce tutto quel che c'è da conoscere. Come si è detto, spesso il cialtrone viene identificato come tale dai suoi interlocutori per vie non razionali nei primi secondi di conoscenza, ma è solo imparando a non dare credito al successivo vaglio razionale, che conduce spesso a valutazioni errate, che si può imparare a difendersene. Non è una cosa facile e ci si può arrivare solo con molta pratica. Gianna, per spiegare quel che intende, racconta di quando nel ‘45 aveva incontrato Bruno, che allora vestiva la divisa da ufficiale dei marines: lui non era mai stato marine, né tanto meno ufficiale, ma gli piaceva la divisa e se l'era messa. In questo atto c'è una perfetta sintesi di come il cialtrone agisce sulla spinta di impulsi violenti, irriflessi e fugaci, non temperati da considerazioni di opportunità o da qualsiasi tipo di controintenzione: come un bambino il cialtrone gioca tutto il tempo, ma gioca molto sul serio.

    A questo punto Lily, la figlia di Bruno e Gianna, rincasa, accompagnata da un attempato industriale milanese, detto Bibì, il quale dopo qualche frase sprezzante all'indirizzo dei romani se ne va. Roberto a questo punto è coinvolto in un piccolo psicodramma familiare, in cui Bruno tenta, con nessuna autorevolezza, di richiamare Lily alla retta via, ma questa fa un proclama a favore del matrimonio di convenienza, capace di darle quelle sicurezze che lui come padre non ha saputo procurare alla sua famiglia. Di nuovo il giovane studente, appena entrato nel mondo adulto, viene trascinato in situazioni spiacevoli dall'esuberante invadenza del cialtrone, e questo è ciò che accade quasi sempre quando si ha a che fare con questo tipo umano.

    Senza soluzione di continuità, dopo la magra riuscita nel ruolo di padre, Bruno riprova con identico insuccesso a sedurre la moglie in nome dei vecchi tempi. Respinto, decide di lasciare subito la casa, rifiutandosi di restare anche solo per poche ore in un ambiente che non plaude alla sua grandezza. In quattro e quattr'otto trascina lo stravolto Roberto a dormire in spiaggia su due sdraio, ennesimo disagio derivante dalla frequentazione del cialtrone.

    Lily e Bibì

    Alla mattina i due campeggiatori improvvisati vengono svegliati da alcuni bambini che giocano a palla. Roberto si aggira lungo la spiaggia, a disagio con i suoi pantaloni e la sua camicia fuori luogo (per di più macchiata dalla zuppa di pesce mangiata a Civitavecchia); intanto Bruno poco lontano sta facendo ridere dei bagnanti (per lui dei perfetti sconosciuti, ma la sua captatio benevolentiae è ecumenica) facendo la verticale sulle mani. Addirittura tenta di abbordare un'avvenente ragazza che poi si rivela essere sua figlia Lily che non aveva riconosciuto.

    Segue una gita sul motoscafo di Bibì, durante la quale Bruno fa dello sci nautico urlando come Tarzan (lo sci nautico è uno sport elitario e come tale il cialtrone, noto viveur, non può mancare di praticarlo); tra il padre e la figlia avviene una piccola conversazione da cui si desume che la figlia, pur conoscendo benissimo la cialtroneria paterna, non è immune al fascino straripante di quell'anomala figura paterna. Spesso infatti i cialtroni sono circondati da familiari o affetti che, con il loro volergli bene al di là di ogni ragionevolezza, gli consentono di poter continuare a non crescere.

    Bruno, anche se non se ne è mai curato molto (un compito troppo faticoso e metodico per lui), è contento di avere una figlia come Lily, perché sente l'affetto che la ragazza prova per lui, e alla fine arriva persino ad accettare l'insopportabile Bibì, perché l'odio, il rancore e in fondo qualunque reale sentimento richiedono metodo, costanza, applicazione, tutte attività di lungo corso poco adatte a lui.