
Comunismo robotizzato l'abbaglio dei marxisti tech
Se per Lenin il comunismo era “il potere dei soviet più l'elettrificazione”, si può dire che adesso per alcuni teorici post o neo marxisti il comunismo è “il potere dei robot più i pannelli solari”. Proprio nel momento in cui sembra aver trionfato e appare come l'unico orizzonte possibile del reale, il capitalismo sarebbe a un passo dal crollo o comunque dall'essere superato – proprio a causa delle sue contraddizioni, come sosteneva Marx. Stavolta non per la caduta tendenziale del saggio di profitto o per il progressivo impoverimento delle masse proletarie, ma per l'opposto: il suo trionfo. Il capitalismo, grazie al suo motore innovativo che produce continui progressi tecnologici, crea le condizioni per il superamento della scarsità e l'ingresso in un nuovo mondo fatto di opulenza: il futuro è a portata di mano, non ci sarà più bisogno della proprietà privata, che esclude, perché ci saranno risorse, beni e servizi per tutti. Tutto questo accadrà senza spargimenti di sangue: non servirà la rivoluzione proletaria, perché il lavoro sporco lo farà la rivoluzione tecnologica, grazie alla quale l'umanità potrà entrate in quello che Aaron Bastani, un giornalista inglese della sinistra radicale, chiama nel suo libro “Comunismo di lusso completamente automatizzato” (“Fully automated luxury communism”, ed. Verso). “Mangeremo varietà di cibo di cui non abbiamo mai sentito parlare – vagheggia Bastani – e condurremo vite uguali, se lo desideriamo, a quelle dei miliardari di oggi. Il lusso pervaderà tutto, così la società basata sul lavoro retribuito diventerà una reliquia della storia come il contadino feudale e il cavaliere medievale”. Sembra davvero di rileggere le parole con cui Marx nella Critica del programma di Gotha descriveva la fase finale della società comunista: “Dopo che è scomparsa la subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di lavoro intellettuale e corporale; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo generale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze sociali scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!”.
L'idea di un mondo possibile oltre la scarsità prende le mosse dal Karl Marx dei Grundrisse, che nel “Frammento delle macchine” poneva le basi della liberazione e dell'emancipazione dal lavoro grazie all'aumento della produttività e alla trasformazione del lavoro da umano in macchinario. Allo stesso modo, fonte di ispirazione per i neo comunisti iper tech è John Maynard Keynes che nelle “Prospettive economiche per i nostri nipoti” del 1930 annunciava l'avvento, entro un secolo (ci siamo quasi!), di un mondo iperabbondante in cui l'unico problema sarà come occupare il tempo libero, tanto che – a causa dell'abitudine – gli uomini dovranno per un po' far finta di lavorare per non andare in depressione: “Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore al giorno sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi”.
Ma perché il fallimento totale del socialismo sovietico e di qualsiasi altro tentativo di socialismo reale questa volta dovrebbe funzionare? Cosa è cambiato? L'idea di questi comunisti del terzo millennio è che l'umanità starebbe entrando in una “Third Disruption”, che segue le due più importanti rivoluzioni antropologiche della storia: quella neolitica e quella industriale, con cui l'uomo ha inventato l'agricoltura e, appunto, l'industria. Ciascuna di queste due discontinuità storiche ha segnato l'emancipazione dell'uomo dai vincoli della natura: con la prima disruption l'umanità ha reso abbondante il cibo, con la seconda l'energia. La terza, quella che secondo gli utopisti tech è in atto, passa invece attraverso l'aumento esponenziale della potenza di calcolo e l'abbondanza dei dati che consentono di riprodurre e distribuire informazioni con un costo marginale pari a zero. E' la fine del sistema dei prezzi, la dissoluzione del meccanismo fondamentale di funzionamento del libero mercato, l'eutanasia del capitalismo: grazie all'innovazione tecnologica e all'incredibile aumento della produttività in altri campi entreremo in una fase storica di “post scarsità”. A lavorare ci penseranno le macchine, che sono sempre più automatizzate e intelligenti e quindi capaci di sostituire l'uomo sia negli impieghi che necessitano di sforzo fisico sia in quelli che hanno bisogno di creatività e impegno intellettuale.
Certo, incombe il problema delle risorse naturali e del climate change: non si può crescere all'infinito in un mondo di risorse finite, dicono nella sinistra ambientalista. Ma anche quello è un problema superabile: secondo Bastani c'è il sole attraverso cui la natura ci fornisce energia in maniera “illimitata, pulita e gratuita”. C'è il problemino di come trasformarla e immagazzinarla, ma anche in questo caso la tecnologia sta facendo passi da gigante con pannelli solari, pale eoliche e batterie sempre più efficienti, che consentiranno di avere energia pulita e a bassissimo costo, soprattutto nei paesi più poveri. Certo, rimane la questione delle risorse minerali, anch'esse limitate, necessarie per produrre le tecnologie per immagazzinare l'energia solare del mondo post fossile e decarbonizzato come litio, cobalto, nickel, zinco, fosforo… Ma anche in questo caso i prezzi non saliranno e non ci sarà bisogno di guerre per accaparrarsi miniere e terre rare, perché ci sono soluzioni a portata di mano anche se nessuno le immagina come imminenti.
Bastani porta l'esempio della “crisi del letame di cavallo” del 1894 a Londra. La capitale britannica, a causa della crescita economica e dell'aumento esponenziale della popolazione, era invasa da decine di migliaia di cavalli usati per il trasporto delle persone in giro per la città, il letame delle bestie era diventato un problema serio e i giornali annunciavano con toni apocalittici una catastrofe imminente: in pochi anni le strade di Londra sarebbe state sepolte da metri di escrementi equini.


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