“Ciò che non so, nemmeno credo di saperlo”, dice Socrate

Già dal IV secolo a.C. il soggetto socratico, che sa di non sapere, sfida il suo omologo supponente

    U n giorno che [Cherofonte] era andato a Delfi, ebbe la faccia tosta di chiedere questo al dio [...] se ci fosse qualcuno più sapiente di me, e la Pizia gli rispose che non c'era nessuno[...]. Dunque, quando io seppi la risposta dell'oracolo, mi chiesi: “Che cosa ha voluto dire il dio? E che cosa nasconde sotto i suoi enigmi? Io, in coscienza, so bene di non essere sapiente, né tanto né poco. E allora, che cosa ha voluto dire affermando che lo sono più di tutti? Certo lui non dice menzogne, non può dirle”. E, per molto tempo, così, non riuscii a farmi una ragione su quello che avesse voluto intendere. Finalmente mi decisi ad indagare sulla cosa in questo modo. Mi recai da uno che, in fatto di sapienza, passava per la maggiore, sicuro che, in tal modo, avrei potuto smentire l'oracolo e dimostrare la falsità del responso.

    “Ecco qui uno più sapiente di me, mentre tu dicevi che ero io”, avrei potuto ribattere. Interrogando quest'uomo [...] conversando con lui, ebbi questa impressione, ateniesi, che fossero gli altri a ritenerlo sapiente e, soprattutto, che lui stesso si credesse tale ma che, in realtà, non lo fosse affatto. Io, allora, tentai di dimostrargli che non era sapiente anche se credeva di esserlo, con il bel risultato che mi tirai addosso il suo rancore e quello dei presenti. Andandomene, però, pensai: “Certo sono più sapiente io di quest'uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio un bel niente; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, se non so niente, ne sono per lo meno convinto, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmeno credo di saperlo” [...].

    Perbacco, cittadini, dato che devo dirvi la verità, ecco quello che mi succedeva: nell'indagine che svolgevo per accertare il senso dell'oracolo, quelli che erano i più celebrati, mi parevano, quasi quasi, i più sprovveduti, gli altri, invece, che non erano tenuti in alcun pregio, mi sembravano i meglio dotati [...].

    Stando così le cose io mi chiedevo, sempre per giustificare il responso dell'oracolo, se non era meglio che rimanessi quello che ero, cioè, senza la loro sapienza ma anche senza quella loro ignoranza o, piuttosto, che avessi anch'io ambedue le cose che essi possedevano. E finii per rispondere all'oracolo e a me stesso che era meglio restare com'ero [...]. In realtà, ateniesi, soltanto dio è sapiente e in quel responso egli ha voluto dire che la sapienza umana è ben poca cosa, anzi, nulla addirittura. Evidentemente, se il dio ha parlato di Socrate, lo ha fatto solo per servirsi del mio nome, come di un esempio, per dire: “O uomini, il più sapiente di voi è chi, come Socrate, sa che la sua sapienza non conta proprio nulla”.
    Platone

    Apologia di Socrate