Nel conservatorismo americano infuria la battaglia fra nazionalismo e liberalismo

Alcuni pensatori repubblicani si sono riuniti al Ritz per dare una forma intellettuale al trumpismo e diventare il nuovo mainstream Scrive l'Atlantic (17/7)

    Potrebbe essere stata la prima rivolta nazionalista partita da una sala da ballo dell'Hotel Ritz”, scrive Emma Green sull'Atlantic a proposito della National Conservatism Conference, a cui hanno partecipato alcuni intellettuali e politici repubblicani la scorsa settimana a Washington. “Hanno applaudito le nuove grida di battaglia: dobbiamo smetterla di venerare il libero mercato alle spalle della middle class. Niente più guerre eterne per squartare dei mostri percepiti oltre i confini. Nessuna vergogna a salutare la bandiera americana, a difendere i confini e a pretendere l'assimilazione degli stranieri. ‘Oggi – ha dichiarato il docente israeliano Yoram Hazony – è il nostro giorno dell'indipendenza'”.

    Tra gli ospiti dell'incontro c'erano personalità molto diverse tra di loro. Tucker Carlson, l'opinionista di Fox News fautore dell'anti interventismo trumpiano, parlava a fianco di John Bolton, il consigliere per la Sicurezza nazionale noto per essere un falco in politica estera. Lo spettro del razzismo si è profilato sulla conferenza dei pensatori conservatori. Pochi giorni prima Donald Trump aveva detto a quattro rappresentanti donne del Congresso di tornare “nei paesi infestati dal crimine da cui provenite”, pur essendo tutte americane. Hazony si è sforzato di tracciare un confine tra il nazionalismo e il nazionalismo bianco, e ha vietato la partecipazione di alcuni suprematisti bianchi. Altri relatori hanno ribadito questo punto, e sono arrivati a criticare Trump per i suoi commenti razzisti.

    Il raduno è apparso come un tentativo di dare una forma intellettuale alla forza bruta del trumpismo e, in un certo senso, alle rivolte populiste in Europa. In realtà questo evento coinvolge il futuro del conservatorismo in un momento di profonda frattura all'interno del movimento. I relatori del Ritz vorrebbero rompere il vecchio matrimonio tra i libertari duri e puri e tra i conservatori sociali, e vorrebbero costruire nuove alleanze attorno a un nazionalismo positivo e unificante. Molti di loro sono convinti che la destra repubblicana negli ultimi decenni ha dato troppo importanza ai temi economici, e non ha avuto il coraggio di combattere le battaglie culturali a difesa dei princìpi che le stanno più a cuore. C'è la convinzione che questo sia un momento di svolta, e che il raduno del Ritz venga visto in futuro come l'inizio di una nuova èra. Se la storia davvero marcia in questa direzione, allora i nazionalisti si devono porre alcune domande. Innanzitutto: cosa fare con i milioni di cittadini che non si sentono rappresentati dalla dottrina nazionalista che domina la politica americana?

    L'elezione di Trump nel 2016 ha frammentato la coalizione repubblicana che aveva governato nei decenni precedenti, e ci è voluto molto tempo per capire che le due anime del partito non potevano più coesistere. La Edmund Burke Foundation che ha organizzato l'incontro di Washington è nata grazie a un finanziamento di Alex Cranberg – un conservatore di tendenza liberale – ma porta avanti un'agenda molto conservatrice. I relatori della conferenza sono uniti da alcuni valori, che gli sono valsi un grande applauso da parte dei circa 500 spettatori. Alcuni di loro hanno paragonato il liberalismo al chiaro di luna, altri si sono lamentati del secolarismo dell'America moderna. “Cacciamo via il cristianesimo, cacciamo via la Torah, cacciamo via Dio” – ha detto Hazony – “e nell'arco di due generazioni le persone non sapranno distinguere un uomo da una donna”.

    Tuttavia, Yuval Levin ha messo in dubbio l'utilità pratica della conferenza che, secondo lui, “è un tentativo di svolgere un lavoro intellettuale sul momento politico attuale… ma forse non è ciò che vuole la maggior parte degli americani insoddisfatti con la politica”. Inoltre, Levin ha espresso diffidenza nei confronti di Donald Trump, e ha consigliato agli altri relatori di non fidarsi troppo del presidente. “Se una buona idea viene associata a lui, probabilmente ne risentirà e verrà screditata”, ha detto Levin: “Finisci per pagare un prezzo per la sua persona, la sua personalità e la sua malevolenza. Non penso che lui agisca in virtù delle nostre idee, e quindi non dovremmo farci illusioni”. Il nuovo movimento nazionalista sta ancora cercando di capire come svilupparsi in futuro, e ha già individuato alcuni alleati politici tra i banchi dei repubblicani al Congresso. Soprattutto, i nuovi nazionalisti vogliono durare più a lungo possibile: si impegnano a forgiare un nuovo consenso, nuove regole e una nuova ideologia che vada oltre questa fase destabilizzante nella politica mondiale. “Il lavoro delle persone che si occupano di idee – ha detto Hazony – è quello di rispondere ai bisogni del momento… e fare affidamento su alcune tradizioni responsabili che speriamo possano soddisfare questi impulsi in un modo stabile e decente”. “Nel mondo delle idee – conclude l'Atlantic – i tweet sono effimeri, e le beghe giornaliere non sono la prima preoccupazione”. “Il presidente Trump è una figura importante – ha detto Hazony – ma non sarà l'unica, e soprattutto non sarà l'ultima. Continueremo a parlare di questi temi tra molti, molti anni”.

    (Traduzione di Gregorio Sorgi)