ORA BASTA
Un anno perduto, per la crescita italiana. Non è il caso di fare giri di parole. A luglio ormai inoltrato di questo 2019, si può e si deve usare questa espressione senza timore di apparire inutilmente polemici. Semplicemente e purtroppo: è un dato di fatto. L'ultimo bollettino della Banca d'Italia stima anche per il secondo trimestre una crescita praticamente in stagnazione. Il che significa cinque trimestri successivi che ci hanno riportato verso tassi annuali di andamento del pil misurabili in zero virgola. Siamo ultimi nell'Europa a 28, nelle stime di questo 2019. La frenata internazionale, dovuta agli effetti dell'alternarsi di strappi e trattative tra Usa e Cina sul tavolo dei surplus commerciali e dei dazi, era davanti a noi già un anno fa. Così come il fatto che a esserne più esposti erano ovviamente i paesi a maggior avanzo commerciale, cioè in Europa la Germania e l'Italia. Infatti la Germania è scesa a un tasso di crescita intorno allo 0,5 per cento annuo e la Ue a un tasso previsto all'1,4 per cento nelle ultime revisioni della Commissione europea. Ma l'Italia è, appunto, ultima con un 2019 stimato a +0,1 per cento del pil.
Di fronte a questo dato, la domanda “come mai?” per definizione non ammette una sola causalità. Ma di sicuro sono molte le correlazioni che possiamo ricavare dalla ricca congerie di dati settoriali che oggi ci sono noti e possiamo analizzare. Mi limito a ricordarne alcuni e, per il mandato di rappresentanza di Assolombarda che ricopro, cito quelli che hanno a che vedere direttamente con lo stato dell'economia e con la condizione che le nostre imprese si trovano ad affrontare.
La settimana scorsa la filiera delle macchine utensili, da sempre protagonista di eccellenza del made in Italy e dell'export sui mercati mondiali, visto che esportiamo oltre il 50 per cento della produzione nazionale di settore, ha aggiornato gli andamenti del 2019. Nel secondo trimestre 2019 l'indice Ucimu (Unione costruttori italiani macchine utensili) degli ordini di macchine utensili ha segnato un calo del 31,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente con un deciso arretramento nella raccolta di ordinativi sia sul mercato interno (-43 per cento) sia sul mercato estero (-28,5 per cento). “Il calo degli ordini interni – secondo il presidente Ucimu, Massimo Carboniero – dimostra che il mercato domestico, dopo il grande choc positivo provocato dai provvedimenti 4.0, sta tornando alle sue dimensioni fisiologiche ma, sebbene ci aspettassimo un cambio di passo, questo processo di normalizzazione è risultato, nei primi mesi dell'anno, particolarmente repentino, anche a causa della mancanza di chiarezza sull'operatività delle misure per la competitività che il governo avrebbe dovuto mettere a disposizione delle Pmi fin da subito”.
Passiamo all'occupazione. Siamo scesi sotto la soglia di disoccupazione del 10 per cento. Una soglia più che altro psicologica, visto che la media della Ue a 28 paesi sta al 6,3 per cento, e peggio di noi, con disoccupazione a doppia cifra, sono solo Spagna e Grecia. Ma il punto è che Grecia e Spagna stanno rapidamente riducendo la propria quota di disoccupati. Mentre da noi la Cassa integrazione straordinaria nei primi sei mesi del 2019 è tornata a salire del 41,88 per cento, specie nell'industria e nell'edilizia. Se affianchiamo all'andamento Cigs il dato di maggio relativo alle richieste di Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego), riscontriamo che esse hanno nuovamente superato quota 100 mila, 104.800 per la precisione, +1,3 per cento sull'anno. Sono ormai mesi che Cigs e Naspi salgono a doppia cifra.
Passiamo al Mezzogiorno. Confindustria ha appena aggiornato le sue analisi, in occasione del “Check-Up Mezzogiorno”, realizzato insieme a Srm del Gruppo Intesa Sanpaolo. Al sud la disoccupazione giovanile raggiunge il tasso record del 51,9 per cento: in pratica, più di un giovane meridionale su due non lavora. I disoccupati totali sono circa 1 milione e 500 mila, mentre molti di più sono gli inattivi. Rispetto ai 300 mila residenti in meno in Italia, nei soli ultimi tre anni 2015-18, oltre 222 mila sono venuti meno al sud. Nel Mezzogiorno ha infine smesso di crescere il numero delle imprese: dopo molti trimestri di aumento, infatti, nei primi mesi del 2019 le imprese attive risultano meno di un milione e 700 mila, come un anno fa.
Un altro osservatorio è quello dell'economia digitale, uno degli ambiti chiave dell'innovazione. Confindustria Digitale ha appena lanciato l'allarme. L'indice Desi della Commissione europea, che monitora lo stato di attuazione dell'Agenda Digitale, da un quinquennio colloca il nostro paese agli ultimi posti in classifica Ue, e nel 2019 ci siamo ritrovati al 24esimo. In Italia ci si ferma ad appena 85 euro per cittadino di spesa pubblica per il digitale, a fronte dei 186 della Francia, 323 del Regno Unito e 207 della Germania. Per raggiungere i livelli dei nostri partner europei, gli investimenti pubblici dovrebbero raddoppiare dai 6 miliardi circa attuali a 10-11 miliardi di euro l'anno. Investimenti che renderebbero la Pubblica amministrazione più digitale, con benefici tangibili in termini di riduzione di sprechi e ridondanze e conseguenti risparmi sulla spesa corrente.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
