Il difetto costituzionale

    Professor Cassese, la Costituzione ha retto bene? La bella settantenne ha qualche ruga? Perché vengono proposte due modifiche, quella di ridurre il numero dei parlamentari e quella di introdurre nuovi strumenti referendari? Quali inconvenienti possono produrre?

    Cinque dei suoi pilastri reggono bene: le libertà, l'eguaglianza sostanziale (la libertà dal bisogno), l'indipendenza dei magistrati giudicanti, la pluralità di democrazie, la giustizia costituzionale.

    E l'esecutivo?

    Qui vengono i problemi. La Sottocommissione competente della Commissione dei 75, quella che scrisse il testo costituzionale, aveva approvato con 22 voti favorevoli e 6 astensioni l'ordine del giorno Perassi, a favore di un sistema parlamentare “con dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo, per assicurare una continuità del governo”. Nella fase finale dell'approvazione, Piero Calamandrei, il 4 marzo 1947, si schierava a favore di una repubblica presidenziale o almeno di un governo presidenziale e aggiungeva: “Di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto di Costituzione non c'è quasi nulla”. Qui non si tratta delle rughe dell'età. La Costituzione nacque vecchia, con un governo debole. Il difetto iniziale si è accentuato col passare del tempo, perché vi è stata, in ogni ordinamento moderno, una inesorabile verticalizzazione del potere indotta dalla formazione di poteri pubblici ultrastatali. Qui la voce dell'Italia è poco ascoltata perché il protagonista cambia ogni anno, col cambiamento frequente dei governi (65 nei 70 anni dalla Costituzione).

    C'è, poi, il braccio esecutivo, l'amministrazione.

    Altra nota dolente. La Costituzione è stata troppo parca in materia, sostanzialmente disponendo norme dirette solo ad assicurare imparzialità. Ma anche queste sono state aggirate. Ad esempio, sono poche le persone che sono entrate per concorso negli uffici pubblici. I vertici, poi, sono ora dominati dai partiti nei diversi livelli di governo. Si aggiungano a questi i difetti della Costituzione materiale, il modo in cui è cambiato il contesto.

    Cioè?

    Il continuo cambiamento di formule elettorali dopo il 1993. Abbandonata dopo cinquant'anni la formula proporzionale con la legge Mattarella, si sono succedute la legge Calderoli, quella Renzi, quella Rosato, con la quale si è ritornati al punto di partenza. Le leggi elettorali, negli altri paesi, sono solitamente longeve. Questi frequenti cambiamenti italiani sono il segno di una inquietudine, di un difficile rapporto stato-società. Un altro mutamento di contesto riguarda i partiti: prima movimenti, poi organizzazioni, poi “chiese”, sono divenuti partiti fluidi. Alcuni sostituiscono la democrazia interna con una democrazia quinquennale, le primarie.

    Ci sono, però, anche i mutamenti interni agli altri poteri.

    Sì. Il Parlamento è ormai un legislatore secondario, perché siamo ormai al governo legislatore (ma spesso è lo stesso governo a ratificare decisioni prese dai vertici dei partiti). La legislazione, poi, è sovrabbondante. In terzo luogo, il Parlamento sembra aver rinunciato al ruolo di controllore dell'esecutivo. Anche l'ordine giudiziario è cambiato, in maniera contraddittoria. Si è ampliato, giocando un ruolo prima impensabile nella società, ma, nello stesso tempo, è sempre in ritardo nello svolgere il proprio compito. E' divenuto un decisore di ultima istanza, è composto di personale troppo presente negli altri poteri, registra una politicizzazione endogena, proveniente cioè dall'interno, non dall'esterno (questo è un fenomeno che i costituenti non avevano considerato, attratti dal timore della politicizzazione esogena).

    C'è, infine, un problema che non era stato previsto nel 1947, l'integrazione comunitaria.

    Che ha spinto i tedeschi a inserire un apposito articolo nella loro “Grundgesetz”. Noi non l'abbiamo fatto se non in maniera indiretta. Abbiamo avuto un forte grado di lealtà comunitaria, finora, anche se più dichiarato che reale, come dimostra l'attuazione delle direttive europee mediante leggi. Questo consente di attuare sollecitamente, ma “all'ingrosso”, le norme comunitarie, anche se la realtà amministrativa segue poi con ritardo. Di qui il paradosso: siamo i più solleciti nella fase inziale della procedura di attuazione, ma anche tra quelli più lenti nel giungere alla fase conclusiva dell'attuazione.

    Torniamo alle modifiche costituzionali in corso.

    Sono affrettate e di bandiera. Coloro che hanno proposto di ridurre il numero dei parlamentari (la riduzione potrebbe avere una sua ragion d'essere perché da un cinquantennio abbiamo venti consigli regionali che dovrebbero svolgere una parte della funzione parlamentare, quella di fare leggi e di controllare l'esecutivo) non hanno considerato l'effetto indiretto prodotto da tale proposta, che sarebbe quello di allontanare il parlamentare dal suo elettorato. Oggi noi abbiamo un terzo dei collegi di un paese come il Regno Unito, dove i membri della Camera bassa sono in numero di poco superiore agli attuali membri della nostra Camera dei deputati. Lì collegi più piccoli consentono di stabilire un rapporto diretto tra il parlamentare e il suo elettorato. Noi avremo meno parlamentari con collegi più ampi. Inoltre, questo minor contatto con l'elettorato, darà maggiore forza a quel che resta dei partiti, cioè sostanzialmente ai relativi “leader”, rafforzando la verticalizzazione del nostro sistema politico. Domande: il danno arrecato alla rappresentanza politica è compensato dal modesto risparmio finanziario che si ottiene con la riduzione? Chi propone la riduzione si rende conto della contraddizione tra questo risultato e l'invocazione continua della sovranità popolare?

    E il referendum propositivo?

    Anche questo va nella direzione di un accentramento e di una verticalizzazione del potere. I referendum, con la loro necessaria semplificazione (Sì/No) si prestano a diventare plebisciti. Le esperienze svizzera e californiana mostrano che si prestano anche a diventare armi nelle mani di “lobbies”. Comunque, i referendum si sostituiscono alla “deliberation”, che è composta di informazione, discussione, tentativo di convincimento, dibattito.

    La direzione complessiva?

    Quella dell'antiparlamentarismo, del rifiuto della decisione meditata, concertata, eventualmente frutto di compromesso, comunque sempre ragionata.